Pulsazioni e ritmi diversi in parte contradditori: silenzio e rumore assordante, vuoto e pieno, ordine e disordine. Non c’è città, a qualsiasi latitudine e longitudine, che non segua un processo di crescita e metamorfosi in un ciclico rincorrersi di fioritura e crepuscolo. Un fremito, un movimento silente che attraversa anche la selezione di fotografie che Alessandro Cirillo (Bari 1966, vive e lavora a Bari) espone nella personale Multiplicity, curata da Tita Tummillo, da Archimake a Bari in occasione della I edizione di Biarch – Bari International Archifestival – sezione fuorisalone (fino al 20 dicembre). Nato alla fine del 2019, questo spazio di confine voluto dagli architetti Francesco Marella e Sebastiano Canzano, situato tra il multietnico quartiere Libertà e la zona del centro murattiano, è lo scenario di condivisione di una multidisciplinarietà in cui l’architettura dialoga con l’arte, il design e la comunicazione. In Multiplicity – mostra inaugurale di Archimake – il fotografo si sofferma su alcune aree urbane di Bari, Berlino e Mannheim, città della Germania sud-occidentale, di cui restituisce con le sue foto realizzate tra il 2011 e il 2020 le luci e le ombre insieme alle tensioni, stratificazione dopo stratificazione.

Lo fa senza compiacimento, con un’attitudine al rigore acquisita attraverso la conoscenza puntuale del mezzo fotografico (e delle potenzialità della camera oscura) fin dall’età di 18 anni, seguendo anche workshop con grandi maestri tra cui Claude Nori, Gabriele Basilico, Ferdinando Scianna, Gianni Berengo Gardin, Martin Parr, Simon Roberts. Un discorso a parte riguarda Parigi con quell’unica immagine (a colori) in cui il soggetto ricorda i decollage di Mimmo Rotella.

Anche in questo caso si tratta dell’incontro casuale dello sguardo di chi sta dietro il mirino con un manifesto in una stazione della metropolitana che è lo stesso Cirillo a definire «il minotauro della metropolitana». Tita Tummillo parla di «rapporto carnale con le immagini» del fotografo «in un discorso volto al nomadismo, al continuo rapimento verso spazi di ambiguità tra soggetto e oggetto, all’abitare, in un costante corpo a corpo, l’alterità.

Ogni sua opera pare essere figlia di un venire meno, di uno strappo». Lo strappo nel significato di trazione (più che in quello eventuale di lacerazione) è percepibile proprio nell’attraversamento esplorativo che Alessandro Cirillo conduce camminando, muovendosi senza pregiudizi in queste città e attivando una riflessione che lo porta inevitabilmente al confronto diretto con sé stesso. Il processo di conoscenza è diversificato e abbraccia la sfera interna e quella esterna tra andate e ritorni: quella «molteplicità» a cui afferisce il titolo stesso della mostra, penetrata dallo spettatore anche attraverso la video-intervista all’autore realizzata dalla curatrice a chiusura del percorso espositivo. L’apertura, invece, è affidata al video di 3 minuti e 15 secondi in cui alcuni fotogrammi del film Il cielo sopra Berlino di Wim Wenders, regista amato dal fotografo, si sovrappongono alle fotografie scattate da Cirillo nella sua città.

«Poi c’è questa mano – la mia mano – che si muove come se simulasse una sorta di battito cardiaco anche con l’intenzione di trattenere quello che scorre», afferma. Una mano che afferra, indicatore di conoscenza, tempo, modulo di raccordo con il tutto. «Per me la città è il luogo delle intersezioni, delle relazioni, dei conflitti anche di un’umanità disperata» – continua Cirillo che con il cortometraggio Una storia di Piero, nel 2016, ha vinto il The Next Generation Film Festival di Triggiano (Ba) – «Correvo sul nostro lungomare di Bari che amo tanto. Spesso lo percorro anche di notte, da solo, con il mio sigaro e la musica che mi rilassa. Un paesaggio che in alcuni punti mi ricorda molto il Brasile, dove sono stato, e il realismo magico delle zone di confine».

Un percepire che non è esente dalla vena sentimentale del ricordo. «Mi innamoro dei luoghi anche da un punto di vista letterario. Saramago, Camus, Pessoa, Yourcenar, Duras… Ogni volta che rileggo L’amante di Marguerite Duras, così come L’amante della Cina del Nord, di cui magari rivedo il film, mi commuovo. Anche se non sono mai stato in quei luoghi è come se provassi la nostalgia di chi c’è stato». Gli scatti di Bari sono presenti anche nei notturni della serie Because the night, citazione dell’omonima canzone composta da Bruce Springsteen, dove i frammenti urbani emergono dal buio. «Perché la notte appartiene al desiderio» – canta Patti Smith – «Perché la notte appartiene a noi».