Mule Boy, il ragazzo mulo a caccia del perfido troll
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Mule Boy, il ragazzo mulo a caccia del perfido troll

Intervista Øyvind Torseter, fumettista, autore di «Mule boy e il troll dal cuore spaccato», pubblicato da Beisler
Pubblicato più di 2 anni faEdizione del 2 aprile 2022

Nel libro del norvegese Øyvind Torseter, Il buco pubblicato nel 2013 da Orecchio Acerbo, un ragazzo-mulo si trova alle prese con un buco che attraversa tutto il volume, proprio nel centro della pagina. Ai lettori italiani l’operazione non può non ricordare Bruno Munari, per l’intervento radicale sulla superficie cartacea e per il gioco concettuale che crea nella storia nel momento in cui il buco diventa il vero protagonista, divenendo il rompicapo che il ragazzo-mulo vuole risolvere e catalizzando attorno a sé tutta l’azione. In Mule boy e il troll dal cuore spaccato, pubblicato da Beisler editore e finalista del Premio Strega ragazze e ragazzi per la categoria narrazione per immagini, ritroviamo lo stesso imbranato protagonista, che si mette in cerca del troll che ha trasformato i suoi sei fratelli e le rispettive spose in statue di pietra per spaccargli il cuore. Insieme a Mule boy ci sono personaggi come l’innamorata e il mostro che appaiono anche nelle opere successive (Mulysees, Mulanosaurs) che speriamo di leggere presto in traduzione).

Il lavoro di Torseter è dir poco sorprendente; lo confermano gli originali dei libri di Mule boy visibili nella mostra All’avventura a lui dedicata, tra le iniziative di BOOM-crescere leggendo organizzate durante la Bologna Children’s Bookfair, nella quale si svela il percorso che il ragazzo mulo ha compiuto attraverso queste storie.
L’esposizione al Museo della Musica (aperta fino al 18 aprile) getta luce sull’immaginario dell’autore spontaneo ma elaborato, precario, eppure profondamente radicato nel gusto per i classici, ricco di citazioni ma a tratti solo abbozzato. Di questo universo tanto affascinante, complesso e divertente abbiamo parlato con l’autore a Bologna.

Chi è Muleboy e come si adatta a narrazioni così diverse?
Lo sto ancora scoprendo, non ne so ancora molto. È un personaggio che avevo nel mio sketchbook e quando ho disegnato Il buco, ho pensato di usarlo come protagonista. Ha un grosso naso e una fisicità molto espressiva, anche se non parla molto.
Ho pensato di inserirlo in una storia completamente diversa, senza particolari concettismi, una narrazione classica, una fiaba. Così l’ho conosciuto un po’ meglio e ho visto come reagiva in diverse situazioni, è distratto ma cerca sempre un modo per risolvere le situazioni. Forse non è brillante, ma è ironico. In questo libro il personaggio della principessa lo compensa, e questo succede anche nelle altre storie.

Muleboy entra qui in una storia tradizionale norvegese, ma oltre all’invito ai più giovani a leggere i classici, l’esperimento è interessante perché gioca con il canone letterario, un po’ come Mulysees (non ancora tradotto in italiano), che ripercorre l’Odissea.
Sì, riprendo elementi dalla cultura popolare, storie, cose che conosco, proprio come in un collage.

Anche il tuo stile grafico segue la stessa strategia di mix di diversi elementi.
Esatto: lo stile varia durante il libro e mescola diversi espedienti. Nell’illustrazione e nel fumetto è interessante vedere cambiare lo stile perché in chi legge questo produce sorpresa. Certo, è rischioso perché ci si rende poco riconoscibili, ma cambiare l’atmosfera, renderla da naïf a realistica, nello stile e nella tecnica, o nel fatto di far convivere umani e creature mostruose, crea diversi livelli dentro al libro.

In effetti sorprendi il lettore in ogni aspetto del tuo racconto con il contrasto tra elementi distanti tra loro: nella montagna del Troll, la stanza della principessa è piena di dettagli contemporanei ed è costruita come un palcoscenico.
Quando si racconta una storia, si crea un mondo che deve essere credibile: mi sembra interessante che il lettore veda che è un universo costruito, ma in ogni caso credibile. In teatro per esempio capita più facilmente di percepire i dettagli della costruzione della finzione-nelle scene o nei costumi, eppure al tempo stesso seguiamo la storia come se fosse vera. Mi piace che succeda anche leggendo, che il lettore abbia qualcosa in cui credere e che possa cooperare nella creazione dell’universo della storia.

Quindi come autore vuoi mostrare al lettore il processo di creazione?
Sì, voglio mostrargli i vari livelli della costruzione, non solo la superficie; voglio che veda o riconosca nella pagina i bozzetti, in una specie di mise en abyme della creazione della storia, che è compiuta solo all’80 o 90 per cento, perché il lettore deve completarla.

Nella bella traduzione di Alice Tonzig si apprezza la tua volontà di sorprendere anche nei testi dove si mischiano le formule della fiaba con interventi molto naif e informali di Mule boy, che a un certo punto dice anche «devo andare in bagno».
Sì, perché non accade mai nelle fiabe… illustrare la fiaba può sembrare noioso, perché si tratta di un universo molto codificato e i personaggi sono piatti. È così solo in apparenza, perché in quell’universo si può iniziare a costruire e creare il loro aspetto e la loro personalità in modo nuovo, e anche espandere certe scene. La sequenza del bagno che citi, per esempio, occupa tre o quattro pagine, come altre sequenze davvero importanti per la storia. Questo è interessante perché cambia l’esperienza di lettura portando il lettore «altrove» in una direzione diversa, appunto, da quella canonica. Il disegno si piega facilmente alle variazioni di ritmo, per questo l’esperienza di lettura degli albi illustrati e dei fumetti è così particolare.

Inoltre in questo libro illustrazione e fumetto convivono.
Non era pianificato e non ho mai fatto fumetti puri, ho lavorato più spesso come illustratore ma capisco che molti dei miei libri hanno a che fare con il linguaggio del fumetto. Ho intuito che due linguaggi mi avrebbero permesso di rompere il ritmo: nelle vignette uno, nelle immagini grandi un altro, meno costretto dal tempo, dallo scorrimento della sequenza nella gabbia. Mi piace che il lettore si prenda il tempo necessario per leggere l’immagine.

Il Troll è davvero spaventoso e poco tradizionale. Come lo hai disegnato?
Ovviamente si tratta di un soggetto molto rappresentato, anche da illustratori eccellenti, ma che recentemente in Norvegia è diventato un cliché, una cosa da turisti che si compra nei negozi di souvenir. Invece dovrebbe davvero far paura. Quando mi sono messo a farlo ho pensato che non lo avrei disegnato come lo avevo visto mille volte, avrei rifuggito l’immagine iconica del troll con il nasone. Ho chiuso gli occhi e ho disegnato delle linee liberamente, perché sapevo che sarebbe stato interessante disegnare direttamente con la testa, e le ho usate come base per la figura del troll; i suoi occhi sono buchi, ha un aspetto spettrale ed è sempre rappresentato in posizioni contorte, quindi non è mai del tutto interpretabile, cambia sempre. Forse anche per questo fa paura.

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