Dopo che il New York Times ha pubblicato una lista di almeno quattro dozzine di domande che il procuratore speciale che sta investigando sul Russiagate, Robert Mueller, avrebbe per Trump, si è scatenato un piccolo pandemonio.

LE DOMANDE che Mueller vorrebbe fare al presidente sono tutte volte a far luce sui legami tra questa amministrazione e la Russia e per determinare se Trump ha o meno ostacolato l’inchiesta rendendosi colpevole di ostruzione alla giustizia. Gli obiettivi illustrano bene dove vogliono approdare i filoni di indagine che il procuratore sta seguendo e come possono coinvolgere personalmente l’attuale presidente Usa. Le domande sono state lette agli avvocati di Trump dagli investigatori di Mueller; il documento è poi stato dato al Times da una persona al di fuori del team legale del presidente, che non ha preso bene nessun particolare di questa vicenda, come ha veementemente espresso su Twitter, ribadendo che questa è una caccia alle streghe e ciò che conta sono invece i suoi successi con la Corea del Nord, riguardo il disarmo, e con la Cina che non comprometterà più l’economia americana.

IN REALTÀ già un anno fa il sospetto di una connessione tra la Russia e il comitato elettorale dell’attuale presidente ha costretto Trump ad avviare l’inchiesta del procuratore speciale Mueller, e durante quest’anno si sono dichiarati colpevoli quattro ex collaboratori del presidente: tre di loro stanno collaborando alle indagini.

«The Donald» ha sempre affermato di essere pronto in qualsiasi momento a farsi interrogare per difendere la sua innocenza, ma questa idea non piace ai suoi avvocati che sono sempre riusciti a fermarlo, temendo che il loro imprevedibile cliente possa mettersi in guai molto più seri, rispondendo con «fatti alternativi» sotto giuramento; il capo del team legale di Trump, John Dowd, a fine marzo è arrivato a dimettersi proprio perché non riusciva a convincere Trump a rinunciare all’ipotesi di testimoniare.

MOLTE DELLE DOMANDE di Mueller vertono sul brusco licenziamento dell’ex direttore dell’Fbi, James Comey, avvenuto nel maggio 2017, e gli sforzi di Trump per proteggere alcuni suoi collaboratori, come l’ex capo dimissionario della sicurezza nazionale, Flynn, ora tra i collaboratori dell’indagine sul Russiagate; su questo tema Trump ha sempre sostenuto tutto e il contrario di tutto, ed è proprio ciò che i suoi avvocati temono.
Ora, nonostante Trump twitti sdegnato su questa fuga di notizie riguardo la lista di domande, pare che a passarle al New York Times sia stato proprio un membro del team, in modo da far capire al presidente americano i rischi che correrebbe parlando con Mueller, il quale, dal canto suo, è ben consapevole di quanto importante sarebbe interrogare Trump e, come rivela il Washington Post, già a marzo ha fatto sapere agli avvocati del presidente, che potrebbe emettere un mandato per farlo apparire davanti a un grand jury.

NELLO SFORZO DI DIMINUIRE la pressione su Trump, un gruppo di repubblicani della Camera guidati dal rappresentante della Carolina del Nord, Mark Meadows, e da altri lealisti del presidente, ha redatto degli articoli di impeachment contro Rod Rosenstein, il vice procuratore generale sulle indagini del Dipartimento di giustizia sul presidente e i suoi associati; Rosenstein ha reagito avvertendo che il dipartimento «non si farà intimorire». Rosenstein ha dichiarato di essere stato minacciato «privatamente e pubblicamente», «da un bel po’ di tempo».

MENTRE CRITICAVA i repubblicani Rosenstein ha difeso la costituzione e lo stato di diritto, affermando, in risposta alle dichiarazioni di stampo opposto di Trump, che non esiste alcuna minaccia «allo stato di diritto in America oggi» perché è protetta dalla Costituzione.
Ha anche negato che i continui attacchi a Trump abbiano indebolito la tradizionale indipendenza del Dipartimento di giustizia dall’interferenza politica.