La diffusione semi integrale, delle 448 pagine del rapporto del procuratore speciale Robert Mueller sul Russiagate e sull’ostruzione della giustizia da parte di Trump, si sono abbattute sulla scena politica americana come un tornado.

LA LETTURA DEL DOCUMENTO è dovuta avvenire districandosi nel legalese stretto di Mueller che ha voluto specificare fin dall’inizio di voler interpretare il suo compito come quello di un investigatore che mette fatti e prove a disposizione del giudice, e che quel giudice è il Congresso. Nel rapporto Mueller svela «numerosi legami tra individui del governo russo e individui associati alla campagna di Trump» e comunanza di intenti tra la campagna del tycoon repubblicano e Mosca.

Scrive Mueller che già a fine estate 2016 lo staff di Trump progettava la sua strategia di stampa, comunicazione e messaggistica, «basandosi sul possibile rilascio di messaggi di posta elettronica di Clinton da parte di WikiLeaks». Il peggio, per Trump, però, arriva nel secondo volume del report, quello riguardante l’ostruzione della giustizia. Mueller elenca dieci episodi di comportamenti «ostruttivi» da parte di Trump: dal licenziamento del direttore dell’Fbi James Comey alle promesse di grazia verso i suoi ex collaboratori per spingerli a non collaborare.

IL RAPPORTO PASSA POI ad analizzare i dieci episodi, sottoponendoli a una procedura in tre fasi: se c’è stato «un atto ostruttivo», se esiste «un nesso tra l’atto ostruttivo e un procedimento ufficiale» e se «l’intento è corruttivo». In molti casi la condotta di Trump soddisfa i tre standard, e se negli altri il presidente non ha commesso ostruzione della giustizia è stato perché i suoi collaboratori si sono rifiutati di obbedire agli ordini del presidente. Nel report si legge che Trump non si è limitato a chiedere pubblicamente all’allora procuratore generale Jeff Sessions di non chiamarsi fuori l’indagine ma di averlo fatto spesso in privato, con minacce e blandizie, sperando che Sessions l’avrebbe protetto da Mueller. Il report passa poi a decostruire uno a uno gli elementi della linea di autodifesa di Trump, come, ad esempio, le pressioni sull’ex capo dell’Fbi James Comey al quale aveva chiesto «di porre fine alle indagini sull’ex consigliere della sicurezza nazionale Michael Flynn». Mentre Trump afferma di aver solo sperato in cuor suo che Comey «potesse lasciare andare Flynn», le circostanze della conversazione dimostrano che in realtà Trump ha chiesto esplicitamente a Comey di chiudere le indagini su Flynn, e quando non l’ha fatto l’ha licenziato, spingendo la sua portavoce Sarah Sanders a mentire dando notizie false alla stampa riguardo le motivazioni del licenziamento.

MUELLER CONCLUDE scrivendo: «La nostra indagine ha trovato molteplici atti da parte del Presidente che sono stati in grado di esercitare indebita influenza sulle indagini delle forze dell’ordine, tra cui le interferenze russe e le indagini di ostruzione. Gli sforzi per influenzare le indagini sono state per lo più senza successo, ma in gran parte perché le persone che circondavano il presidente hanno rifiutato di eseguire gli ordini».

Dal report si ricava la sensazione che se Trump invece che il presidente fosse stato il procuratore generale. sarebbe già stato incriminato per l’accusa di ostruzione della giustizia ma il Dipartimento sostiene che un presidente non possa essere accusato di reato, ed è per questo motivo che Mueller non l’ha fatto limitandosi a segnalare che «il Congresso ha l’autorità di proibire l’uso corrotto del presidente della sua autorità al fine di proteggere l’integrità dell’amministrazione della giustizia». Mueller si è spinto anche oltre, e a pagina 390, nella nota 1991 si legge: «Un possibile rimedio attraverso l’impeachment per abusi di potere, non sostituisce la potenziale responsabilità penale dopo che un Presidente lascia la carica», ed in molti, in questa nota, vedono la sagoma di Mueller stagliarsi sull’argine del fiume. Ora il presidente della Commissione Giustizia della Camera, Jerrold Nadler, ha formalmente emesso un mandato di comparizione indirizzato al Dipartimento di Giustizia per far avere al Congresso la versione integrale del rapporto e tutte le prove che lo compongono entro il 1° maggio.