Un Robin Hood moderno: pensoso, dannato, non simpatico, poco affabile, mai snob però. Sul palco Mark Arm è un tipo strano, non dà molta confidenza, dice due parole due. Con tanto distacco tratta il pubblico italiano accorso al concerto romano. Pochi convenevoli, molta sostanza. Nella vita vera invece deve essere scrupoloso, razionale, deve ricordare numeri e cifre: fa il magazziniere per la Sub Pop. Già, proprio quella storica etichetta, una volta davvero tanto indipendente, che segnò il grunge di Seattle, seguendo e credendo ciecamente negli esordi di band con Nirvana, Soundgarden, ma ancor prima Green River e gli stessi Mudhoney di Turner che ne proseguirono l’esperienza.

NON CI PASSARONO mai i Pearl Jam, in casa del patron Bruce Pavitt, eppure tutte queste band devono qualcosa proprio ai Mudhoney. I giovani Eddie Vedder, Chris Cornell, Andy Wood e Kurt Cobain stesso erano soliti frequentare i club di Seattle e non perdevano un concerto uno dei Mudhoney. Altri tempi, belli ma sepolti sotto mucchi di dollari. Ad ascoltarli si sente per intero il fascino di trent’anni di carriera scanditi dal monumentale esordio in Ep del 1988 Superfuzz Bigmuff e culminati con il recente Digital Garbage. In mezzo il loro percorso è stato molto regolare, mai hanno tradito le origini, poco borghesi, sempre affascinati da sonorità punk, chitarre fragorose, grande destrezza sul palco, nessuna frase di circostanza, zero ammiccamenti.

FA STRANO dunque pensare a come – tanto per raccontarne una – i Pearl Jam questa estate, come molte altre volte, abbiano riempito i nostri stadi, a differenza dei Mudhoney che riempono sale da centinaia (magari anche un migliaio) di spettatori che vanno dai 30 ai 50 anni. E alla differenza di stile: Eddie Vedder ha trascorso il tempo blindato in hotel; Steve Turner, l’altra icona dei Mudhoney, ha passato il pomeriggio romano alla ricerca di vinili. È stato avvistato in un negozietto bello e specializzato di dischi ricercati e selezionati. Cercare su Facebook le foto per credere, il negozio in questione è Radiation. Un grande senso di libertà nella loro musica, un racconto rock che ha praticamente riprodotto dal vivo l’ultimo disco Digital Garbage ma ha concesso anche estratti dall’album di famiglia della band. Lampi del passato belli, puri, forti. Trasgressivi solo per essere così tanto fedeli al rock.