L’ex presidente egiziano Hosni Mubarak potrà presto lasciare la prigione militare di Maadi al Cairo. Dopo l’assoluzione dalle accuse di aver ordinato di sparare contro i manifestanti nelle manifestazioni di piazza Tahrir del 2011, è arrivato il proscioglimento anche nel processo che lo vedeva accusato, insieme ai figli, Alaa e Gamal, di peculato. La Corte di Cassazione ha però stabilito l’avvio di nuovo processo con le stesse imputazioni.
Mubarak, 86 anni, costretto alle dimissioni nel 2011 dopo le rivolte di piazza, era stato condannato a tre anni per appropriazione indebita di 10 milioni di euro di fondi pubblici per spese personali, inclusa la costruzione e lavori di restauro di palazzi presidenziali e un mausoleo. I suoi sostenitori hanno accolto la sentenza con grida di giubilo all’interno della Corte. La famiglia Mubarak si è detta preoccupata per la sua incolumità nel caso di trasferimento dell’ex rais. Per questo, secondo la stampa locale, lo stesso leader avrebbe preferito rimanere in ospedale.
Il 2 giugno 2012, Mubarak venne condannato all’ergastolo. Ma già nel gennaio 2013, l’istanza presentata dagli avvocati alla Corte di Cassazione azzerò il primo processo. L’impunità per Mubarak conferma lo scontro all’interno della magistratura egiziana. Dal giorno del boicottaggio del referendum costituzionale (dicembre 2012), i magistrati hanno trasformato la rabbia verso gli islamisti in scontro aperto con i sostenitori di Morsi, facendo l’occhiolino al vecchio regime. I giudici hanno rimandato al mittente la riforma proposta dalla Fratellanza che prevedeva la rimozione e il pre-pensionamento di migliaia di toghe. Appena è stato possibile, hanno appoggiato militari, polizia e liberali favorendo la destituzione di Morsi.
La restaurazione è ormai compiuta da tempo e questo accordo tra le istituzioni dello stato profondo è stato essenziale per la riuscita del golpe del 3 luglio 2013 che ha deposto l’ex presidente, espressione dei Fratelli musulmani, Mohammed Morsi. L’ultimo tassello della tabella di marcia di al-Sisi sono ora le elezioni parlamentari che si terranno con una legge elettorale che blocca il pluralismo politico ma apre la strada al ritorno dei Fratelli musulmani tra i candidati indipendenti. Il voto, il settimo dalle rivolte del 2011, si terrà da marzo a maggio 2015.
Se ormai il ritorno in grande stile dei mubarakiani e del vecchio regime è compiuto, c’è uno spiraglio invece per l’inquietante vicenda che ha coinvolto 26 omosessuali egiziani, arrestati in un bagno pubblico al Cairo. Erano stati ripresi dalle telecamere di una giornalista e i loro volti avevano fatto il giro del mondo. Sono stati ora prosciolti dall’accusa di dissolutezza. Eppure ormai niente potrà fermare il controllo del potere da parte di al-Sisi. Dopo l’attacco ai soldati nel Sinai, costato la vita a 31 soldati, nell’ottobre scorso, è iniziata in questi giorni la seconda fase per la costruzione della zona cuscinetto di mille metri al confine tra Rafah e la Striscia di Gaza. Al momento sono state demolite le abitazioni di due mila famiglie e sono stati sequestrati i beni di chi si è rifiutato di abbandonare le proprie case per dare spazio alle ruspe. Nel Sinai continua lo stato di emergenza e al-Sisi è quanto mai solidale con la lotta al terrorismo del premier israeliano Benjamin Netanyahu.
Con le prossime elezioni parlamentari si apre una nuova pagina nello scontro tra élite politiche e militari in Egitto nel nome del capitalismo clientelare che affligge il paese dopo le liberalizzazioni degli anni 90, volute da Mubarak. A questo punto si avvicina un rimescolamento delle carte che segnerà il ritorno di uomini del Partito nazional democratico e dei vertici della giunta militare, forse i nuovi deputati egiziani saranno più giovani, perché le rivolte del 2011 hanno spazzato via un’intera generazione, ma non meno omologati ai meccanismi di gestione del potere autoritari e corrotti degli ultimi quarant’anni.