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Mubarak, il processo è senza giudice

Mubarak, il processo è senza giudiceHosni Mubarak – Reuters

Egitto Il magistrato contestato dalle vittime si è ritirato, in aula è il caos

Pubblicato più di 11 anni faEdizione del 14 aprile 2013

È partito con un colpo di scena il secondo processo all’ex rais egiziano, Hosni Mubarak, che dall’11 febbraio 2011 ha lasciato il potere. Il presidente della Corte d’Assise del Cairo Mustafa Hassan Abdallah ha annunciato la sua decisione di ritirarsi. Appena entrato nell’aula bunker Abdallah è stato contestato dagli avvocati delle famiglie delle vittime che hanno chiesto la sua ricusazione accusandolo di essere lo stesso che ha deciso l’assoluzione del leader del Partito nazionale democratico (Pnd) nel processo della cosiddetta «battaglia dei cammelli», il giorno più duro delle rivolte in cui si scontrarono in piazza Tahrir sostenitori e oppositori dell’ex presidente.

Secondo la Corte, la maggior parte dei testimoni ascoltati nel processo era politicizzata. E quindi i temibili Safwat Sherif, ex presidente della Shura, e Fathi Sorour, ex presidente dell’Assemblea del popolo, sono stati prosciolti. Questa sentenza ha rappresentato un momento inquietante nella vicenda giudiziaria del post-Muabarak perché ha segnato il tentativo di edulcorare le responsabilità nella repressione delle forze di polizia.

Dopo l’annuncio del giudice Abdullah, apparso in Tribunale per non più di due minuti, in aula è scoppiato il caos. I presenti hanno urlato contro il giudice ed è stata sfiorata la rissa. Il processo è stato quindi aggiornato. Erano tremila, tra militari e agenti di polizia, le forze dell’ordine schierate attorno al tribunale. A disporre le misure di sicurezza è stato il ministro degli Interni Mohamed Ibrahim, spiegando che sono stati schierati anche 150 veicoli corazzati. Il personale delle forze armate ha trasportato Mubarak dall’ospedale militare al tribunale in elicottero. Insieme a Mubarak, sono imputati nel processo anche i suoi figli Gamal e Alaa, l’ex ministro degli Interni Habib al-Adly e sei dei suoi consiglieri. Sono accusati di aver ordinato l’uccisione di manifestanti durante le rivolte. In seguito alla presentazione di istanza di revisione del processo da parte degli avvocati di Mubarak, la Cassazione aveva deciso di annullare il precedente procedimento.

Lo scorso due giugno, Mubarak ed El-Adly erano stati condannati al carcere a vita, mentre i figli di Mubarak, Alaa, Gamal e sei funzionari del ministero dell’Interno erano stati assolti.
Il tre agosto del 2011 Mubarak apparve per la prima volta dietro le sbarre, malato e disteso su una barella da ospedale, sembrava il più grande successo delle rivolte. Ma l’ordine di annullare il processo ha facilitato il tentativo di revisionismo verso i leader del vecchio regime. Non solo, ha dimostrato il corto circuito tra istituzioni del corso precedente e la spinta rivoluzionaria a chiarire le responsabilità e i soprusi di decenni di leggi d’emergenza e autoritarismo.

Secondo attivisti e forze di opposizione, dietro il nuovo processo, si prepara l’impunità per il vecchio Mubarak. Sin dal primo giorno di arresti domiciliari a Sharm el-Sheikh, gli avvocati dell’ex rais hanno tentato di prendere tempo e di umanizzare il «diavolo», rappresentandolo quotidianamente come malato o in fin di vita.
L’ex ministro della giustizia, Ahmed Mekky, commentò la sentenza di ergastolo sottolineando come le assoluzioni per i dirigenti della polizia avrebbero aperto la strada al perdono per tutti gli imputati nel processo.

D’altra parte, la Commissione parlamentare, incaricata dal presidente islamista Mohammed Morsi, continua a confermare la connivenza tra forze di polizia e soldati nelle violenze del 2011 che provocarono centinaia di morti nonché torture e sparizioni. In alcuni casi l’esercito egiziano avrebbe ordinato ad alcuni medici di operare senza anestesia i contestatori rimasti feriti negli scontri e che furono ricoverati all’ospedale di Kobri el-Qoba al Cairo lo scorso anno. Si tratta di un rapporto «estremamente importante», ha commentato Heba Morayef, direttore di Human Rights Watch in Egitto. «Fino a oggi non c’era stato un riconoscimento ufficiale da parte dello stato dell’eccessivo uso della forza da parte della polizia o dei militari. Questo rapporto per la prima volta è una condanna ufficiale della responsabilità che l’esercito ha avuto nelle uccisioni», ha aggiunto Heba.

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