Tutto cambia perché nulla cambi: in Egitto il regime si auto-riproduce, dall’ex raìs Mubarak al golpista al-Sisi, uccidendo lo spirito di piazza Tahrir.

L’assoluzione in via definitiva dell’ex dittatore, pronunciata giovedì dalla Corte di Cassazione, per l’accusa di aver ordinato l’uccisione di almeno 239 manifestanti (su 900 vittime) nei giorni caldi del gennaio 2011 è solo l’ultimo atto di un processo di auto-legittimazione dell’attuale regime.

In tribunale i sostenitori di Mubarak sono esplosi in grida di giubilo quando il giudice Ahmed Abdel Qawi ha stracciato l’ultima accusa che pesava sulla testa dell’ex raìs e rigettato la richiesta delle famiglie delle vittime di aprire processi civili. La scarcerazione è ad un passo. Mubarak era stato condannato all’ergastolo nel 2012, ma due anni dopo la Corte d’appello aveva ribaltato la sentenza. Fino al terzo grado, giovedì.

Con un colpo di spugna la rivoluzione viene cancellata e con lei tre decenni di abusi, corruzione, torture, desaparecidos: le stesse pratiche dell’attuale regime che, prosciogliendo il vecchio, assolve se stesso.

A gennaio 2014 era stata annullata la condanna a tre anni (sia per Mubarak che per i figli Gamal e Alaa) per appropriazione indebita di 14 milioni di dollari. Un destino comune a quello di molti esponenti della precedente dittatura: due anni fa l’ex ministro degli Interni el-Adly era stato assolto dall’accusa di aver sottratto 25 milioni di dollari e aver ordinato l’uccisione di manifestanti in piazza Tahrir; stessa sorte per l’ex premier Nazif.

E poi i vertici di polizia, servizi segreti, esercito e circa 170 funzionari di più basso rango, tutti usciti puliti da trent’anni di dittatura insieme al Partito Democratico Nazionale di Mubarak, riammesso alle elezioni parlamentari e presidenziali dopo essere stato sciolto all’indomani della rivoluzione.

«Questa sentenza è ingiusta, la magistratura è politicizzata», il commento a caldo di Osman al-Hefnway, legale di parte civile. Dal golpe del luglio 2013 al-Sisi ha seguito la via del predecessore asservendo in silenzio il potere giudiziario alla presidenza.

Dei 75 giudici che criticarono pubblicamente quel colpo di Stato la metà è stata rimossa, altri 59 costretti al prepensionamento nell’ambito di una campagna di “pulizia” per rafforzare il controllo sui tribunali e il Consiglio giudiziario supremo, quello che sceglie chi siede sugli scranni delle corti e che impone censure alla stampa.

La notizia dell’assoluzione arriva mentre il mondo fa la fila per accaparrarsi le attenzioni del presidente al-Sisi: con la Libia nel caos, la questione migranti ogni giorno più esplosiva e i generosi prestiti concessi all’Egitto da Banca Mondiale e Fmi, l’Occidente (ma anche la Russia) vede aprirsi praterie nel paese piegato dalla repressione governativa.

Sebbene al-Sisi si stia dimostrando incapace di risollevare l’economia a favore delle classi basse e di porre un freno all’avanzata dei gruppi islamisti in Sinai, la corsa globale all’Egitto non ha soluzione di continuità.

Ieri Agenzia Nova riportava dell’incontro, previsto per lunedì, tra il ministro degli Esteri Shoukry (di ritorno da Washington dove è stato ricevuto dagli uomini del presidente Trump) e il segretario della Nato Stoltenberg. Meeting a porte chiuse a cui seguirà un pranzo di lavoro con i ministri degli Esteri dei paesi Ue.

La rimozione dal discorso europeo e atlantico della natura repressiva del regime egiziano è ormai quotidianità. Lo si è visto durante la due giorni di visita tedesca al Cairo: la cancelliera Merkel, che aveva promesso una franca discussione sui diritti umani, se n’è ben guardata. Con al-Sisi ha invece discusso di migranti e affari.

L’immagine che resta è l’inaugurazione del mega impianto della tedesca Siemens, la più grande centrale elettrica a gas nel deserto e la più grossa commessa di sempre per l’azienda. Fornirà entro il 2018 energia a 45 milioni di egiziani.