«È vero che c’è un sensibile aumento delle persone che si imbarcano dalla Libia, lo vediamo ogni giorno e era previsto, ma non è possibile non salvarli, ci sono obblighi internazionali precisi». Michele Trainiti è il coordinatore delle operazioni di ricerca e soccorso della nave Prudence di Msf, Medici Senza Frontiere.

State vivendo un’emergenza sbarchi?

Sì, numeri importanti. Del resto le stesse Nazioni Unite hanno segnalato da tempo che ci sono 250 mila persone nei centri di detenzione libici pronte a partire verso l’Europa.

Se l’Italia chiudesse i porti all’attracco delle navi delle ong, cosa succederebbe?

Non abbiamo nessun tipo di comunicazione in questo senso, solo notizie rilanciate dai giornali, niente di concreto. Chiudere i porti sarebbe una non soluzione perché cosa potremmo fare? lasciare le persone sulle navi? e poi? Sono anni che aspettiamo una iniziativa dell’Unione europea per la ricerca e il soccorso delle persone in mare, un meccanismo ufficiale dedicato. Invece di fronte a un flusso storico, alla chiusura di altre rotte e alla mancanza di alternative di arrivo legale, ci sono sempre più partenze su questa che è la tratta più pericolosa di tutte del Mediterraneo centrale.

Perché sempre più migranti in arrivo dalle coste libiche? Sono aumentati i fattori che li spingono, come dice l’Oim?

I «push factors» sono a monte, sono ciò che li spinge ad abbandonare le proprie case, e sono sicuramente aumentati perché nessuno lo fa volentieri. Poi ci sono le condizioni in Libia, agghiaccianti, le loro testimonianze e i rapporti delle organizzazioni internazionali parlano di torture efferate nei centri di detenzione dove i migranti sono lasciati anche senza acqua potabile e senza servizi igienici, di mercati di schiavi nelle piazze dei paesi della costa, di persone rapite per chiedere un riscatto ai genitori…La situazione è sicuramente molto peggiorata rispetto all’anno scorso.

Ancora peggiore?

Sì, confrontando i racconti delle violenze subite dai migranti salvati l’anno scorso con quelli di quest’anno, la percezione è netta: le condizioni, sia per strada che nei centri di detenzione, si sono ulteriormente deteriorate.

Per questo partono in numero maggiore?

I grandi numeri di quest’anno dipendono dalla capacità organizzativa dei trafficanti in Libia, che evidentemente sono cresciute perché non è mica uno scherzo mettere in acqua ogni giorno 2mila gommoni. Si deve contare che molti di quelli che siamo riusciti a salvare sono in così cattive condizioni perché sono al secondo o al terzo tentativo, in precedenza sono stati intercettati e riportati a terra dalla Guardia costiera libica e una volta ritornati in Libia venduti come schiavi, ricattati e torturati in modo sempre più agghiacciante. Sarebbe inaccettabile per noi riportali lì.

E se venisse dirottato il flusso in altri porti più vicini rispetto all’Italia?

C’è un obbligo internazionale al soccorso dei naufraghi in base alle convenzioni Sar e Solas che non può essere disatteso. Le stesse convenzioni impongono di portarli nel porto «sicuro» più vicino. La Tunisia non garantisce il diritto alla richiesta di asilo, quindi può essere considerata un porto sicuro per i naufraghi di uno yacht ma non di una imbarcazione di profughi. L’Algeria è troppo lontana, la Francia lo è più dell’Italia, la Spagna è più vicina solo per i naufragi a largo del Marocco.

E se in Libia si verificasse davvero una riconciliazione nazionale tra i governi di Tripoli e di Baida?

Se anche fosse, e per ora l’Oim parla di violazioni incredibili di diritti umani, la Libia dovrebbe ancora ratificare le convenzioni Sar e Solas. Altra cosa è l’attività della Guardia costiera libica nelle sue acque nazionali e in quelle contigue, dove può liberamente intercettare e riportare indietro i barconi, come fa.

I libici che l’Italia aiuta regalando motovedette e addestrandoli possono fare questo?

Certo, anche nell’incidente del 10 maggio, quando la nave dell’ong SeaWatch fu quasi speronata, non c’era nessun rapporto gerarchico tra i libici e la Guardia costiera italiana che coordina i soccorsi internazionali. La Guardia costiera italiana non ci ha mai chiesto di collaborare con i libici né può chiederci di consegnare le persone a loro, è solo tenuta ad avvertirli per primi delle operazioni di soccorso. Ma la clausola del divieto di respingimento a mare è valida solo per i paesi terzi come il nostro rispetto ai migranti in fuga dalla Libia. Certo, resta il dilemma degli aiuti dati a chi non è in condizioni di assicurare il rispetto dei diritti umani. Un bel dilemma per l’Italia.