«La Libia non è un paese sicuro». Arjan Hehenkamp, olandese, è uno dei direttori generali di Medici senza Frontiere ed è appena tornato da una missione in Libia, dove dal luglio scorso l’ong internazionale fornisce assistenza medica ai detenuti, stranieri e non, nei penitenziari di Tripoli e dintorni. Racconta di un Paese dove ancora «la legge e l’ordine sono al collasso», dove «le persone provenienti da paesi dell’Africa subsahariana sono arrestate e tenute in detenzione senza processo legale, senza alcun modo per opporsi o fare ricorso, e senza contatto con il mondo esterno». Le informazioni raccolte da Tommaso Fabbri – che di Msf è il capomissione Italia per il Mediterraneo centrale – tramite i racconti dei migranti soccorsi in mare (50 mila tra uomini, donne e bambini negli ultimi due anni) confermano una realtà fatta di sopraffazioni e violenze generalizzate.

Qual è la situazione per i migranti in Libia secondo le vostre informazioni?

I racconti dei rifugiati sono sconvolgenti. Persone costrette con la forza a lavorare in condizioni di schiavitù, per un piatto di zuppa da dividere in due, molti di quelli soccorsi infatti presentano uno stato di malnutrizione anche acuta. Alcuni hanno segni di tortura e raccontano di aver assistito all’uccisione di figli e congiunti o di averli visti morire di stenti. Nessuno ha mai potuto chiedere aiuto se non ai trafficanti per un posto su un gommone, l’unica via di fuga.

Ma lo sanno che la via del mare è rischiosissima? La Guardia costiera libica secondo Federica Mogherini dovrebbe impedire le partenze per impedire le morti…

Loro rispondono che lo sanno di rischiare la morte in mare ma di preferirla a quella nel deserto o nei paesi d’origine. L’Europa però si ostina a non vedere questo, vuole solo esternalizzare le proprie frontiere e chiudere gli occhi sulle cause. Così anche la Mogherini quando dice che li dobbiamo salvare dai naufragi, mostra di non voler vedere la reale situazione in Libia, dove non esiste alcun tipo di protezione internazionale a cui appellarsi. Né lei né Gentiloni prendono mai in considerazione l’apertura di canali legali e sicuri di arrivo in Italia e in Europa. In questi accordi bilaterali che stanno firmando si prevedono soltatnto soldi, della cooperazione internazionale, da dirottare a quei paesi in cambio del trattenimento dei migranti, anche in barba alle norme della Convenzione di Ginevra.

Si segue il modello degli accordi del 2008 con il Colonnello Gheddafi.

Dobbiamo ancora leggere i dettagli ma l’intesa di Malta sembra inserirsi nel solco di tutti gli accordi bilaterali della serie: lontano dagli occhi, lontano dal cuore.

In cosa consisterebbero allora quelli che chiamano: rimpatri umanitari?

(ride) Vorrei capirlo anche io. Rispettare i diritti umani però sappiamo bene cosa significhi, vuol dire trattare le persone con dignità e non da animali, il che significa in modo che possano esprimere i propri bisogni, operare delle scelte. In questo contesto significa avere la possibilità di essere esaminati da una commissione indipendente a cui poter sottoporre una richiesta di asilo, avere a disposizione dei mediatori culturali e degli interpreti e le informazioni necessarie per poter prendere una decisione sulla propria vita.

Tutto ciò dovrebbe essere fatto in mare?

Senza dubbio non è possibile farlo in mare. Stanno cercando di convincerci che si può fare sulla terra ferma in Libia ma siamo molto scettici. Preoccupati, perché continuano ad arrivarci notizie di instabilità e violenze. Lo stesso presidente del Parlamento di Tobruk Aguila Saleh in questi giorni ammetteva all’ambasciatore tedesco che nessuno controlla tutta la Libia.

C’è chi pensa che l’unica via per controllare le partenze dalla Libia sia accordarsi con i trafficanti.

Non credo, sono uomini di business. Gli accordi bilaterali comunque vengono presi per ostacolare i flussi ma gli individui di fronte a un ostacolo cercano di scavalcarlo, magari con un percorso ancora più pericoloso. Noi vogliamo che siano messi nel piatto anche corridoi umanitari. E che si finisca di considerare i migranti come numeri e si pensi a loro come persone. Parlare solo di numeri serve solo per fare terrorismo psicologico e non risolve niente.