«La procura di Catania ha deciso di fare indagini, nessuno di noi si sente al di sopra della magistratura ma sono quasi due anni che la nostra attività è scandagliata in ogni dettaglio. Ci difenderemo raccontando la nostra verità. Non siamo preoccupati perché veniamo da anni di tempesta e altri ne abbiamo davanti» così commenta il responsabile delle relazioni istituzionali di Medici senza frontiere Italia, Marco Bertotto, l’inchiesta che ha messo nel mirino la sua Ong per traffico illecito di rifiuti.

 

Bertotto, è un’accusa molto grave.
La procura sostiene che la nostra attività, l’attività di un’organizzazione premio Nobel per la Pace, è finalizzata a ottenere guadagni dai rifiuti. Siamo stupiti e indignati. Per lo smaltimento ci affidiamo a operatori portuali, seguiamo le operazioni standard. Verificheremo se ci sono stati comportamenti scorretti ma al massimo si tratta di errori. Abbiamo iniziato i soccorsi in mare nel 2015, per tre anni non abbiamo mai ricevuto una contestazione o una multa. A maggio c’è stata un’operazione di polizia con il sequestro di un camion che portava rifiuti provenienti dalle nostre navi, nessuno ci ha chiesto spiegazioni, abbiamo avuto solo l’avviso di chiusura indagini. In tre anni si sono avvicendate 5 navi che hanno soccorso 80mila persone gestendo 200 sbarchi. Saremmo stati veramente stupidi a mettere su un traffico illecito di rifiuti quando le operazioni di sbarco dei migranti sono le più sorvegliate d’Italia: a bordo salgono polizia, carabinieri, guardia di finanza e nessuno ha mai eccepito nulla.

La procura ritiene che abbiate smaltito in modo fraudolento indumenti infettivi. Eppure il ministro Salvini ad agosto ha tenuto i migranti bloccati dieci giorni sulla nave Diciotti della Guardia costiera.
Si tratta di una contestazione che non può esistere nella realtà dei fatti. Quando le navi con i migranti entrano in porto si issa la bandiera gialla e nessuno può sbarcare fino a che le autorità sanitarie non accertato il cessato pericolo. Quindi nessuno dei migranti che abbiamo salvato costituiva un pericolo e tantomeno i loro indumenti. È vero che cerchiamo di dare loro rapidamente abiti puliti ma il motivo non sono le infezioni: hanno addosso vestiti intrisi di benzina e acqua di mare che provocano ustioni, vanno tolti per l’incolumità dei migranti stessi e non per chi sta loro intorno. Del resto i naufraghi in condizioni gravi non restano a bordo delle navi delle Ong ma vengono evacuati in elicottero o sulle motovedette della Guardia costiera.

Come ha spiegato il nostro medico Gianfranco De Maio, ci accusano di aver esposto la popolazione a malattie che si trasmettono solo per via orofecale, cioè avrebbero dovuto mangiare gli indumenti per ammalarsi, oppure per via respiratoria o tramite il sangue. Il trattamento dei rifiuti e delle acque nere è centrale per la nostra attività: per due anni abbiamo operato in Africa durante l’epidemia di Ebola, i nostri protocolli sono presi a esempio da realtà come l’Organizzazione internazionale della Sanità.

La procura ha disposto il sequestro della nave Aquarius.

L’Aquarius non è operativa da mesi, bloccata a Marsiglia prima dalle politiche dei governi che hanno chiuso i porti e poi dalla revoca della bandiera: prima Gibilterra e poi Panama hanno ritirato l’iscrizione al registro navale su pressione dell’esecutivo italiano, avallato in ambito europeo. Ora ha la bandiera liberiana che però ci consente solo di tenere l’assicurazione con la barca in mare ma non possiamo effettuare operazioni di Ricerca e soccorso.

E ha sequestrato anche i conti correnti.

Il blocco dei conti riguarda i depositi di Msf Olanda e Msf Belgio in Italia. Il problema non è la ridotta liquidità ma il danno reputazionale. Viviamo esclusivamente di contributi privati, a ogni campagna di delegittimazione le donazioni calano del 20%, questo significa danneggiare il nostro lavoro in 72 paesi nel mondo. La procura ci contesta un illecito che vale meno del 2% del nostro budget. Siamo vicini ai sette colleghi rimasti coinvolti nell’inchiesta. È l’ennesima campagna strumentale contro di noi, contro la solidarietà, il nostro pensiero va a chi è bloccato nei campi di detenzione in Libia.