C’è chi lo chiama «effetto Brexit». E chi – più appropriatamente – speculazione. Per certo il titolo del Monte dei Paschi ha perso in dieci giorni giorni il 51% del suo già sottovalutato valore azionario (solo ieri il 19,4%), e al momento capitalizza meno di 800 milioni. Questo dopo aver ricapitalizzato per 8 miliardi negli ultimi due anni, e per un’altra decina di miliardi negli anni precedenti. Ma oggi con bilanci tornati in (lieve) utile, con fondamentali sani, e dopo essere stata sottoposta a una cura da cavallo con fra l’altro pesantissimi effetti sull’occupazione. Alla fine la Consob ha disposto per oggi il divieto alle vendite allo scoperto. Eppure continua a mancare un piano del governo: il ministro dell’economia Pier Carlo Padoan, all’assemblea dell’Ania, si è limitato a ricordare gli strumenti già messi a punto per le banche, senza alcun accenno al caso senese.

Di fronte all’inazione dell’esecutivo Renzi, i sindacati non capiscono e non si adeguano: «Siamo esterrefatti – fanno sapere i cislini Anna Maria Furlan e Giulio Romani – per la seconda volta dall’inizio dell’anno Mps finisce sotto il tiro della speculazione, e come in passato nessuno interviene. In assenza di novità concrete, rispetto all’andamento economico ed alla situazione dei crediti deteriorati, nulla legittima il panico dei mercati che sta demolendo la capitalizzazione di un’azienda a prescindere dal suo reale valore. Quello che fa scandalo è il mancato contrasto da parte del governo a questa situazione». Che sta facendo scappare i possessori di bond subordinati.

Giudizio analogo da Agostino Megale della Fisac Cgil: «Renzi e Padoan devono agire con la Commissione europea, per evitare ulteriori difficoltà al settore bancario, sovraesposto dopo Brexit, mettendo in sicurezza Monte dei Paschi». Mentre il coordinamento sindacale Mps denuncia: «C’è un insopportabile divario fra il concreto percorso di risanamento che la banca, col concorso fattivo dei propri 25mila dipendenti, sta conseguendo, e il ciclone speculativo che si sta di nuovo abbattendo sulla quotazione, riducendo il valore nominale ad un decimo dei patrimonio netto effettivo». Da parte sua la Fabi con Lando Sileoni attacca Francoforte e Bruxelles: «Verso il settore bancario italiano c’è un atteggiamento di netta chiusura da parte della Bce e della Commissione europea. Se lasciamo fare a dei burocrati, rischiamo che crolli l’industria bancaria italiana».

In teoria un intervento è possibile, si osserva fra gli addetti ai lavori. La direttiva Brrd, quella che ha introdotto il bail-in, prevede il caso del «sostegno finanziario pubblico straordinario, al fine di evitare o rimediare a una grave perturbazione dell’economia di uno Stato membro, e preservare la stabilità finanziaria». Tra i vari strumenti previsti, oltre alla garanzia dello Stato a sostegno della liquidità già predisposta, anche la possibilità di una ricapitalizzazione pubblica limitata alla necessità di capitale stabilite nelle prove di stress, come quelle che l’Eba ha avviato e i cui risultati arriveranno a fine mese. In soldoni fanno circa 3 miliardi. Che però Renzi & c. dovrebbero giustificare di fronte a un’opinione pubblica ancora convinta che i Monti Bond (prestito con tasso al 9%, a salire…) fossero un regalo alla banca «rossa» di Siena.

Un problema ulteriore è che, dopo la pubblicazione della lettera – in teoria «riservata» – della vigilanza Bce, che ha chiesto a Mps di ridurre al 2018 da 24,2 a 14,6 miliardi i suoi crediti deteriorati netti, i pur sani fondamentali odierni di Rocca Salimbeni sono passati in terz’ordine. Si aspettano le risposte alla Bce da parte del cda straordinario del Monte, convocato per domani. Se dovessero essere giudicate convincenti – ma vista la forza dei flussi speculativi ogni previsione appare azzardata – qualcosa potrebbe arrivare dal negoziato con Bruxelles che fonti governative danno in corso. Non fosse altro che per scongiurare un disastroso effetto domino. Non solo in Italia, visto lo stato di salute di big player come Unicredit, Deutsche Bank e perfino Banco Santander.