L’arrivo dei finanzieri e dei pm Aldo Natalini e Giuseppe Grosso a Palazzo Koch aveva fatto scattare l’allarme rosso. Ma le attenzioni dei magistrati che indagano sulla vecchia gestione del Monte dei Paschi non erano rivolte alla Banca d’Italia. Piuttosto a Nomura, l’istituto giapponese protagonista della ristrutturazione, a carissimo prezzo, del fallimentare derivato Alexandria. La normativa italiana prevede che, per sequestrare denaro a una società o a una banca straniera, l’autorità giudiziaria debba ricorrere all’assistenza di Bankitalia. Ed è successo proprio questo: un sequestro preventivo da quasi 1,8 miliardi di euro ai danni della banca giapponese. Disposto in via d’urgenza, come spiega la procura di Siena in una nota ufficiale, «a fini impeditivi e di confisca per equivalente, in relazione al reato di usura aggravata e di truffa aggravata commessa ai danni del Monte dei Paschi di Siena». Sull’operazione Alexandria.

La mossa della magistratura è stata subito apprezzata dalla Borsa. Già nei giorni scorsi il calo dello spread a circa 300 punti base aveva permesso al Monte, che detiene ben 25,8 miliardi di titoli di Stato italiani, di risalire una china che lo aveva visto pericolosamente vicino al minimo storico di 0,15 euro per azione. L’odierno intervento giudiziario a tutela di Rocca Salimbeni ha permesso al titolo di essere ulteriormente apprezzato dello 1,31% e chiudere a 0,193 in una seduta di Piazza affari non particolarmente brillante.

Nelle motivazioni del sequestro, che ha riguardato anche tutti i contratti in essere tra Mps e la banca giapponese relativi ad Alexandria – bloccandone la validità – è specificato che 88 milioni sono costituiti da «commissioni occulte percepite da Nomura». E’ la stessa somma quantificata dal Monte nella sue richieste di risarcimento per Alexandria (per complessivi 700 milioni) sotto la voce delle «commissioni implicite» di Nomura. Gli altri 1,7 miliardi sono invece quelli depositati da Mps in favore della banca giapponese. A titolo di garanzia, spiegano ancora i magistrati senesi «sul finanziamento da parte di Nomura a favore della stessa Banca Mps, per l’acquisto di Btp dello Stato italiano per un importo di 3,05 miliardi di euro».

Non solo Nomura. Altri sequestri sono stati disposti nei confronti dell’ex presidente Giuseppe Mussari (2,3 milioni di euro), dell’ex direttore generale Antonio Vigni (9,9 milioni) e dell’ex capoarea finanza Gianluca Baldassarri (2,2 milioni). Insomma per l’intera catena di comando protagonista dell’operazione Alexandria del 2009. Quella ufficialmente tenuta nascosta all’autorità di vigilanza, e che una volta venuta alla luce ha provocato le dimissioni di Mussari dalla presidenza dell’Abi e l’accelerazione dell’inchiesta sulla vecchia gestione del Monte dei Paschi.

La banca giapponese, secondo la legge sulla responsabilità d’impresa, non è indagata. Lo sono invece l’attuale presidente Sadeq Syeed e il responsabile della filiale italiana Raffaele Ricci. Di usura e truffa aggravata sono accusati anche Mussari, Vigni e Baldassarri. A tutti viene contestato poi l’ostacolo alla vigilanza, l’infedeltà patrimoniale e false comunicazioni sociali, in concorso e con le aggravanti. I difensori di Giuseppe Mussari hanno specificato che il sequestro da 2,3 milioni «è commisurato sugli emolumenti percepiti dal 2009 al 2012». Quando i bilanci del Monte venivano abbelliti – vedi ristrutturazione di Alexandria – per evitare che emergesse nei bilanci l’indigeribile acquisto di Antonveneta. Per l’ex presidente Mps è comunque un altro colpo, dopo che nei giorni scorsi è arrivato il primo rinvio a giudizio per la presunta gara pilotata sull’ampliamento e la privatizzazione dell’aeroporto di Ampugnano.