Anche se il consiglio di amministrazione del Monte dei Paschi finisce all’ora di cena, già dal pomeriggio i numeri del quinto aumento di capitale in sei anni sono già messi nero su bianco dalle agenzie specializzate. Con una ricapitalizzazione, tra contanti e altre operazioni, in una forchetta compresa tra 2,5 miliardi e i 2,8 miliardi. Come da previsioni, alla fine l’aumento deciso è di 2,5 miliardi, oltre a cessioni di “partecipazioni non core e attivi del portafoglio proprietario ad alto assorbimento patrimoniale” per altri 220 milioni. L’aumento, naturalmente, è già “assistito da un accordo di pre-garanzia” con il consueto pool di di banche d’affari: da Ubs e Citi, passando per Mediobanca e Goldman Sachs.

Dietro una ricapitalizzazione ben superiore ai 2.1 miliardi di deficit emersi dal recentissimo stress test messo in campo dalla Bce, e soprattutto con la decisione parallela di restituire subito tutti i Monti bond residui (per 1,1 miliardi), prima della scadenza fissata nel 2017 con la Ue, non è difficile scorgere l’ultimo assalto di Alessandro Profumo e Fabrizio Viola a quel che resta della senesità – o per meglio dire “toscanità” – della banca. Un’autonomia che aveva resistito anche al colpo dei 5 miliardi di aumento di capitale estivo, grazie al patto di sindacato tra la Fondazione Mps (2,5%) e i nuovi soci sudamericani Btg Pactual e Fintech (6,5%).

La trincea faticosamente costruita dall’ex presidente della Fondazione, Antonella Mansi, ora rischia di cedere. Secondo i critici, anche per responsabilità dei nuovi vertici della Fondazione, che per bocca del nuovo presidente Marcello Clarich hanno preso tempo nominando un advisor (il Credito Fondiario), ufficialmente per analizzare i piani della banca prima di decidere. Lasciando così in bilico sia gli alleati del patto di sindacato, che non si vorrebbero diluire, che i francesi di Axa, soci storici del Monte, i quali da parte loro hanno già dato l’ok preventivo all’aumento.

Va da sé che la diarchia Profumo-Viola può presentare tutti i giustificativi. Con il nuovo aumento di capitale, il presidente e l’ad del Monte possono presentarsi nei prossimi giorni a Francoforte come bravi alunni che hanno fatti i compiti a casa. Chiedendo al tempo stesso che il deficit Mps sia “mitigato” per 390 milioni, valore che per Rocca Salimbeni rappresenta la “differenza positiva” tra gli utili operativi stimati nel 2014, e gli stessi valori stimati nello scenario (molto) avverso dello stress test. Per la Bce, che ha chiesto alle banche in “shortfall” piani di ricapitalizzazione e ha dato nove mesi di tempo per coprire le carenze patrimoniali, il nuovo maxi ricorso al mercato sarà comunque più che gradito. Anche per far vedere che l’istituto guidato da Mario Draghi, fresco responsabile della vigilanza unica sugli istituti di credito europei, non ha un occhio di riguardo per le banche italiane.

Sconfitta su tutta la linea invece per chi riteneva possibile una strategia più morbida. Compresa Bankitalia, che dopo lo stress test aveva fatto presente come il fabbisogno complessivo del Monte, tenendo conto del residuo dei Mondi bond nell’arco di tempo sotto esame della Bce, scendesse a 1,35 miliardi. Invece Profumo&Viola hanno forzato i tempi, lanciando anche operazioni come la vendita di asset (Consum.it?). E specificando ufficialmente che nel piano “si includeranno iniziative specifiche quali il de-risking ulteriore del bilancio, finalizzato ad aumentare il buffer patrimoniale, e una gestione proattiva dei crediti in sofferenza”. Quelli sui quali c’è già in campo Davide Serra con la sua Algebris. Infine in borsa il titolo Mps ha chiuso in rialzo del 6,31%, a 0,69 euro per azione. Ma solo una settimana fa valeva un euro. E secondo i roboanti annunci estivi, il piano di ristrutturazione della banca lo avrebbe fatto salire in breve.