Inchiodati tra Atlante e Crono: il peso della Brexit, come delle banche italiane «deteriorate», piega le ginocchia dell’Europa che non ha più tempo da guadagnare. Londra cerca di difendere come può la sterlina in caduta libera, mentre si profila lo sboom del mercato immobiliare. A palazzo Chigi, invece, è scattato l’allarme rosso per Monte Paschi che a fine mese rischia di non superare l’esame dell’Eba (l’authority bancaria europea): servono almeno 3 miliardi, dopo che le azioni di Siena in sei mesi hanno bruciato il 73% del loro valore.

Così la Banca centrale europea diventa ultima trincea per respingere gli assalti di ogni tipo di crisi, che attanaglia Bruxelles quanto Roma. Il governatore Mario Draghi si affida sempre più alle analisi prodotte dalla Vigilanza sulle banche. E nella torre di Grossmarkthalle lo staff compulsa quotidianamente i numeri dell’economia dopo la Brexit. Ma il quadro per il 2016 e, soprattutto, per l’Italia era già delineato fin dalla primavera. Perfino prima del referendum Uk. Due radiografie ufficiali, incontrovertibili, agli atti.

Dovrebbero preoccupare il governo Renzi ben più degli annunci a beneficio dei media più o meno compiacenti. I crediti marci nella pancia delle banche italiane ammontano a 360 miliardi di euro, come ha dichiarato il 3 maggio nell’audizione al Senato Ignazio Angeloni (membro del consiglio di sorveglianza della Bce). E nella stessa sede, a verbale, si può leggere la seconda sentenza senza appello: «Con la ridotta entità attuale, il Fondo Atlante è in grado di intervenire soltanto su un numero limitato di banche di piccole e medie dimensioni».

Nelle 12 pagine protocollate a palazzo Madama emerge, per la prima volta, la vera dimensione della crisi che va ben oltre Banca Etruria o Popolare Vicenza: «Alla fine del 2015 le consistenze dei Non performing loans (i crediti deteriorati, ndr) ammontavano a 274 miliardi di euro. Considerando anche le banche più piccole si raggiunge un totale di 360 miliardi, pari a circa il 18% degli impieghi complessivi a giugno 2015, rispetto al 16,8% del 2014. Il volume dei Npl in Italia è di gran lunga il più elevato fra i paesi dell’area euro».

Così a Francoforte si studiano i fattori di rischio per l’intera eurozona. I riflettori restano comunque puntati sul governo Tsipras, perché la Grecia denuncia tuttora «fondamentali» da brivido. «I risultati della valutazione approfondita del 2015 evidenziavano per Alpha Bank, Eurobank, National Bank of Greece e Piraeus Bank una carenza patrimoniale di 4,4 miliardi nello scenario di base della prova di stress, che diventano 14, 4 miliardi nello scenario avverso» evidenzia un altro documento ufficiale della Bce.

Draghi nell’introduzione all’ultimo rapporto dell’attività di vigilanza pubblicato a marzo confessa: «Nei primi anni dell’euro ci siamo illusi di aver creato un’unione monetaria completa. Tuttavia, poiché sono soprattutto le banche private a immettere moneta nel sistema, la moneta unica è possibile soltanto se esiste un sistema bancario unico. Per essere unica a tutti gli effetti, la moneta deve risultare svincolata sia dalla forma che assume sia dal luogo in cui è utilizzata. Ciò richiede una più salda governance comune del settore bancario nei Paesi che condividono quella moneta».

Il governatore della Bce conferma i tre pilastri indispensabili per la tenuta dell’euro: vigilanza unica, un solo meccanismo di risoluzione (Srm, adottato nel 2015) e un sistema uniforme di garanzia dei depositi. Ma spulciando le 87 pagine del rapporto ufficiale affiorano «dati sensibili» sull’eurozona. È acclarato il contagio delle tensioni geopolitiche in Russia, Ucraina, Cina: «I casi di esposizione diretta sono limitati, mentre gli effetti di secondo impatto derivanti dai nessi finanziari o macroeconomici potrebbero danneggiare il sistema bancario dell’euro nel suo complesso». Altrettanto preoccupante è l’ammissione del rischio di vulnerabilità delle banche da parte della criminalità informatica, anche a causa della riduzione degli investimenti nella cyber-security.

In base al «Regolamento sulla segnalazione di informazioni finanziarie» (adottato il 17 marzo 2015) la Bce si era già attivata nella valutazione approfondita di 130 banche durante il 2014. Risultato: «I due terzi delle perdite di valore (42 miliardi) erano state rilevate nelle situazioni contabili». Dopo gli stress-test di Francoforte, «restavano solo 13 banche tenute a intraprendere misure addizionali per ripianare una carenza di 9,5 miliardi. Tutte le banche con carenze patrimoniali dovevano in linea di principio sottoporre un piano che delineasse gli interventi a copertura del deficit».

Sorvegliare costa: 277 milioni rispetto ai 296 stimati in origine. In 38 riunioni la Vigilanza Bce ha esaminato 984 procedure scritte, prendendo circa 1.500 decisioni in particolare in materia di autorizzazione di cui 123 indirizzate a gruppi bancari «significativi». Nel board più nevralgico di Francoforte l’Italia è rappresentata da Fabio Panetta: classe 1959, una carriera all’interno di Banca d’Italia di cui diviene direttore centrale nel 2011, prima di approdare all’Ocse, G-10, Banca dei regolamenti internazionali e Fmi. Attualmente risulta supplente del governatore Draghi nel consiglio direttivo Bce.

È invece francese la presidente dell’organismo di vigilanza Danièle Nouy che nero su bianco denuncia la «resistenza sovranista» all’effettiva e definitiva Unione bancaria. «Il quadro regolamentare resta frammentato: gli Stati membri hanno dato interpretazioni diverse a una serie di disposizioni. Le normative nazionali oscillano tra la rigorosa trasposizione letterale della legislazione europea e l’introduzione di regole aggiuntive nel singolo ordinamento (gold-plating). In alcuni paesi il legislatore nazionale accresce ancor di più la frammentazione convertendo prassi di vigilanza non vincolanti in atti con effetti di legge.

Il recepimento delle direttive Ue è prerogativa dei legislatori nazionali. Ma un quadro regolamentare frammentato contravviene agli obiettivi generali dell’Unione bancaria». Nouy garantisce infine che la radiografia di Francoforte sulle banche proseguirà. «La Bce esaminerà le concentrazioni eccessive di rischi in particolari settori, per esempio quello immobiliare. A ciò si collega l’attuazione del nuovo principio contabile Ifrs 9 («Strumenti finanziari») che influisce sulla misurazione delle rettifiche di valore dei crediti e sulla valutazione degli strumenti finanziari». Intanto in tutta Europa circolano 18,9 miliardi di banconote per un valore di 1.083 miliardi di euro.

E nel 2015 l’Eurosistema ha ritirato dalla circolazione quasi 900 mila biglietti falsi, per lo più nei tagli da 20 e 50 euro della prima serie.