«In attesa di albe migliori»: si conclude così la lettera aperta scritta in questi giorni da Dora, Angela Pia, Anna Pia, Mamadou, Mounir, Francesco e Vincenzo, soci della cooperativa sociale Altereco che da dieci anni gestisce a Cerignola, nel foggiano, un terreno confiscato alla mafia. Vincenzo Pugliese è tra i fondatori.

Che cosa significa lavorare nel campo dell’antimafia sociale in Puglia?

Intorno al terreno che abbiamo chiamato Terra Aut (per ricordare Peppino Impastato e Radio Aut) ci occupiamo dell’inserimento lavorativo da un lato di giovani provenienti da percorsi di recupero, dall’altro di lavoratori migranti in un territorio afflitto dal caporalato. Aderiamo a Libera da 10 anni. Sul terreno confiscato facciamo campi di formazione-lavoro, sono passate centinaia di persone da tutta Italia e non solo. Adesso grazie alla Fondazione con il Sud riusciremo a recuperare alcune strutture che erano state vandalizzate.

E il vostro lavoro in agricoltura e nella trasformazione dei prodotti?

Dal terreno di otto ettari che gestiamo si ricavano biologicamente uva da tavola, ciliege, melograni, olive, ortaggi. Da quattro anni li trasformiamo, con lavorazioni artigianali di alta qualità: paté, sottoli, olio, confetture. Siamo riusciti a collocarli sugli scaffali della Coop Alleanza con il nostro marchio (e un’etichetta strapiena di informazioni). Un obiettivo straordinario ed emozionante, per noi. La ricaduta in termini di lavoro è fondamentale: i beni confiscati alla mafia devono essere luoghi di riscatto sociale ed economico. Quest’anno piantiamo anche un ettaro di pomodori per lanciarci nella sfida della passata biologica. La condicio sine qua non per evitare lo sfruttamento degli anelli deboli – i braccianti e i piccoli produttori – è occuparsi di tutta la filiera, fino alla vendita al giusto prezzo. Com’è possibile che una bottiglia di passata costi 50 centesimi tutto compreso? È possibile fare più attenzione negli acquisti, anche evitando i cibi malsani e lo spreco alimentare.

Chi sono Mounir e Mamadou, fra i vostri soci firmatari della lettera aperta?

Vengono dal Togo e dal Senegal. In passato lavoravano al nero come braccianti. Li abbiamo formati in agricoltura l’anno scorso grazie al progetto «In campo senza caporale», con l’associazione Terra. Poi sono rimasti con noi. Fanno le potature dell’ulivo e della vigna, sanno lavorare su tutte le colture di Terra Aut.

La crisi economica da Covid-19 colpisce anche realtà che, come la vostra, dovrebbero essere protagoniste del cambiamento da tanti auspicato.

L’unico nostro grande interlocutore è la Coop, che a causa dell’emergenza ha dovuto sospendere un progetto di promozione dei nostri prodotti in tutta Italia (siamo regolarmente in Puglia e Basilicata). Così abbiamo un bel po’ di conserve ferme. Ci occorre un altro sbocco di rilievo. I gruppi d’acquisto? Certo, ma in questa fase è difficile ottenere ordini grossi. Sulla nostra pagina Facebook trovate come sostenerci.