M’ssiu Mulà! Lo chiamavano così tra Castelnuovo e Scapoli, tra le terre ubertose dell’alto Volturno. Monsieur Moulin, artista anarchico sui generis, all’improvviso diventava molisano, ospite graditissimo, per quanto a tratti potesse apparire piuttosto strano.

FRANCESE, ORIGINARIO di Lilla, dove era nato nel 1869, Charles Lucien Moulin si fa avanti nella temperie culturale e artistica del tempo, frequentando nel 1890 l’accademia di belle arti a Parigi, studiando col maestro William-Adolphe Bouguereau, massimo esponente della pittura «pompier», volta a riprodurre in maniera filologica e accademica la storia antica. In quegli anni Moulin conobbe Henri Matisse, con cui intrattenne nel tempo un significativo rapporto d’amicizia che divenne in seguito epistolare. A dirigere l’atelier all’Ecole de Beaux-Arts di Parigi, in quegli anni, era Gustave Moreau, precursore del simbolismo, presso il quale aveva fatto apprendistato Matisse.
Pertanto, Moulin si avvia alla maturazione artistica tra il mondo accademico, post-neoclassico, che rappresentava formalmente l’arte nel mondo delle esposizioni e il cosiddetto «atelier Moreau», ovvero il frutto costituito dal lavoro degli allievi di Moreau, a partire da Matisse e Rouault.
È probabile che Moulin, con un carattere che sfuggiva al successo e alla visibilità in società, ebbe un significativo influsso da parte di Moreau, atteso che il simbolismo si era formato quale ramo della cultura decadentista tra quegli intellettuali che furono contrari alla superficialità imposta dal materialismo borghese dominante nella seconda metà dell’Ottocento. I simbolisti abbandoneranno la cultura materiale a favore di una ricerca appassionata nei meandri più profondi dell’animo umano, talvolta rifuggendo l’ortodossia delle masse.
MOULIN NEL 1896 vinse il Prix de Rome, importante borsa di studio per gli artisti emergenti, con l’opera Apollo e Marsia, e visse per quattro anni presso l’Accademia di Francia a Roma tra Villa Medici e Anticoli Corrado, borgo delle campagne romane, amato dagli artisti a partire dalla metà del XIX secolo e per questo conosciuto come il «paese degli artisti e delle modelle». Rientrò in Francia e nel 1911 incontrò a Lilla uno zampognaro, tra i tanti migranti che dall’Italia si trasferivano all’estero per lavoro. Nicandro Coia si chiamava il molisano che divenne anche suo modello a Lille e poi Vincenzo Tommasone, a Parigi. Entrambi erano di Castelnuovo a Volturno e raccontavano della bellezza della natura dei propri luoghi, in Appennino. Durante i frequenti spostamenti tra Parigi, Roma, Lilla, Anticoli Corrado giunge, nel 1911 a Castelnuovo al Volturno fermandosi per un anno e tornando, successivamente, fino all’accendersi del primo conflitto mondiale al quale partecipò da ufficiale. Saranno gli orrori della guerra e forse una delusione d’amore con la sua amata Emily, a spingere l’artista nuovamente in Molise dove si trasferirà, definitivamente, nel 1919. Nei pochi distacchi dalle terre dove ha origine il Volturno, durante i primi anni di permanenza, per alcuni viaggi di lavoro negli Stati Uniti, avvertiva intensamente la mancanza di quei colori, di quella luce, verso i quali la vita e la ricerca artistica lo avevano indotto.

QUELLA di Moulin è una relazione in un rapporto uno a uno tra vita e arte. Sul Monte Marrone (montagna della catena delle Mainarde, in piena linea Gustav, nei pressi della quale nel 1943 morì Giaime Pintor mentre tentava di attraversare le linee nemiche per raggiungere una banda partigiana oltre la linea del fronte), Moulin costruì con le proprie mani un luogo accogliente e in piena assonanza visiva ed estetica con l’ambiente naturale. Una sorta di rifugio in pietra, vissuto da eremita dal pittore, prevalentemente nel periodo primaverile-estivo, addossato alla roccia, nascosto dalla faggeta, con un affaccio straordinario sul Molise, fonte di grande ispirazione artistica. La luce delle Mainarde spinse Moulin alla ricerca del bello e all’abbandono totale dell’olio e della tempera a favore del pastello che meglio si prestava alla rappresentazione della realtà attraverso lo studio en plein air.

LA GENTE DI CASTELNUOVO e Scapoli, che andava in montagna per esercitare gli usi civici di pascere, legnare e cogliere frutti selvatici, gli teneva pensiero, portandogli un piatto caldo e cibo da conservare. Moulin per ricambiare faceva ritratti per i quali non accettava pagamenti: «L’arte non si paga» amava ripetere e ancora oggi lo testimoniano due ultranovantenni di Castelnuovo al Volturno, Antonia Izzi Rufo e Tina Castrataro. Antonia mi ha raccontato di un rapporto intenso, sempre molto gioviale, durante il tempo che ha posato per il pittore, per alcuni mesi. Dialogava per indagare l’animo umano, per cercare di tradurre in un tutt’uno il carattere della persona ritratta dentro i pastelli con cui interpretava la realtà nella sua seconda e altrettanto umilissima casa (anch’essa realizzata manualmente dal pittore), quella di Colle Iarosso, da cui osservava dal basso l’imponente maestosità e bellezza delle Mainarde.
Nel modesto rifugio di Monte Marrone, quasi in vetta, ancora oggi visitabile dopo un restauro fatto fare dal Comune di Rocchetta al Volturno, vi erano un tavolo con poche stoviglie, una sedia, un cavalletto per le tele da dipingere, un giaciglio in legno con della paglia per attendere il nuovo giorno con i suoi cangianti colori, i pastelli, uno zaino e pochi e modesti cenci da indossare.

[object Object]

È PER VIA DI QUESTA SCELTA radicale che nasce il mito di M’ssiù Mulà, a cui viene dato l’appellativo di «Orso delle Mainarde». Non schivo, ma solitario ricercatore del bello, il «professore», altro riverente epiteto con cui lo chiamavano gli abitanti di Castelnuovo per la grande cultura mai ostentata ma lampante nel suo rapporto con la gente. Persone che curava con le erbe, di cui Moulin era grande conoscitore per via di una frequentazione assidua dell’orto botanico a Parigi. Pare che il medico condotto a un certo punto si lamenti con il Sindaco e il Prefetto di non avere più pazienti in quanto questi preferivano farsi curare, gratuitamente, dal pittore-taumaturgo, con aura di grande intellettuale ma mite e gioviale, sempre disponibile per un consiglio.
In un lacerto di un diario manoscritto, conservato presso il museo del Cervo di Castelnuovo, si legge un elenco di 37 specie officinali di cui, per ciascuna, sono indicate le proprietà terapeutiche, dalla bardana alla borraggine (che Moulin beveva in infusi durante il tempo in cui ritraeva, come testimonia oggi Antonia Izzi), dalla centaurea alla genziana, dalla salvia al ginepro, dalla malva al sambuco; Moulin appunta le proprietà digestive, sedative, depurative, diuretiche, febbrifughe, vermifughe delle piante che ben conosceva e che, al pari dell’arte pittorica, applicava nel quotidiano per il bene proprio e altrui.

[object Object]

UN ANTICONFORMISTA per eccellenza, come certo lo furono i pittori che si opponevano al sistema ortodosso delle istituzioni e si rifugiavano nei Salon des Refusés e des Indipéndants. Solo che Moulin cercò e trovò il suo salone da rifugiato indipendente nelle montagne molisane, dove visse il resto di un’umile e straordinaria esperienza terrena, volutamente lontana dai riflettori fino al 1960, quando si spense mentre realizzava l’ultimo ritratto incompiuto. Di lui ci restano le narrazioni degli anziani dei luoghi che ancora ne hanno memoria, alcuni documentari, tra cui l’ultimo di Pierluigi Giorgio, «Moulin, il Poeta del Pastello» che narra magistralmente e con ricchezza di suggestioni dell’orso delle Mainarde e del fascino del suo mondo.
Tra i diversi messaggi che Moulin – artista eretico, dimenticato e poco raccontato – ci lascia in eredità non vi è solo il portato artistico delle proprie opere ma, implicitamente, la volontà di preservare la Natura, fonte di ispirazione per l’arte e la vita, in un meccanismo complesso e allo stesso tempo intriso di un incedere risoluto ma umile che vuole indagare dentro la prospettiva un po’ anarchica, sempre gioviale e intrisa di ricerca della verità, di un anticonformismo militante, nella continua tensione spirituale e artistica, verso la bellezza al servizio dell’arte e, in ultima analisi, dell’umanità.