Quando apparve sulla scena cinematografica internazionale Les silences du palais (1994) fu una folgorazione. Un film che metteva al centro una giovane donna, realizzato da una regista tunisina con l’indipendenza mentale e la libertà da dogmi, o pregiudizi dimostrativi, creando invece un racconto di forma cinematografica raffinata che nella figura della protagonista, Alia, cantante che afferma la propria indipendenza nella sua voce potente, e tra le memoria della sua infanzia parlava del patriarcato e della sua violenza come sopraffazione anche di classe, di una società fondata sui privilegi tra i sussurri dei palazzi e il silenzio di chi, come le donne, è costretto a subire.

Ma Moufida Tlatli, mancata ieri a 73 anni, era già stata artefice e complice prediletta da montatrice di alcuni capolavori fondanti quel cinema magrebino di tensione panaraba come L’ombre de la terre (1982) e Layla, ma raison (1989), entrambi di un altro grande regista tunisino indipendente quale Taieb Louhichi.

È UN CINEMA questo a cui partecipa Tlatli – e sarebbe bello e importante poterlo rivedere oggi – che lavora su un’idea «progressista» di oriente e occidente per decolonizzare lo sguardo «dall’interno» nel confronto col machismo, la follia del potere, la geografia dei luoghi, il deserto, l’amore, le leggende, la realtà sociale dei giovani in fuga, la repressione, il neocolonialismo europeo e dei governi nazionali.

L’occhio attento e la sensibilità di Tlatli divengono un riferimento prezioso per questa «nuova onda» di immaginari: suo il montaggio di Halfaouine (1990), il mondo delle donne sbirciato da un ragazzino – col regista (e storico) Ferid Boughedir che è stato il primo a sistematizzare la storia del cinema arabo e africano fuori dagli esotismi degli studi occidentali rendendo invece l’immaginario uno spazio con cui reinventare il mondo, e  costruire la propria narrazione utilizzando tutti i mezzi necessari – un esempio che oggi, tra i giovani registi del Maghreb sembra essersi perduto, sarà che i governi nazionali hanno offuscato con cura queste immagini troppo destabilizzanti, e certo i mercati internazionali non hanno aiutato.

Di Tlatli è anche il montaggio del magnifico Les Baliseurs du désert (1984) di Nacer Khamir, il cui restauro è stato recentemente proposto alla Mostra del cinema di Venezia (2017), Le mille e una notte e la «maledizione» dell’attualità. Senza dimenticare Omar Gatlato (1976) di Merzak Allouache, dramma metropolitano dall’ironia dolce-amara che segna la nascita della nouvella vague algerina e del nuovo cinema arabo. Che avessero pensato subito a lei, nel 2011, come ministra della cultura nel governo di transizione post-rivoluzionario tunisino per questa sua esperienza profonda dei movimenti di creazione del Paese – era stato un passaggio importante, purtroppo mai compiuto.

Tlatli era nata a Sidi Bou Said nel 1947, cresciuta nella Tunisia di Bourghiba, bambina della lotta per l’indipendenza dal dominio francese. Il cinema lo scopre a scuola, insieme alle amiche – come aveva raccontato presentando Les silences du palais, a Cannes dove aveva vinto la Caméra d’or per l’opera prima, e che il critico Mark Cousins ha inserito nei migliori 10 film dell’Africa – e poi grazie agli insegnamenti di un professore cinefilo che proietta ogni domenica mattina i film di Visconti, Renoir, Bergman.

PER ANDARE al cinema le ragazze inventano mille scuse, una visita a una parente malata, una festa di fidanzamento, nella piccola sala di Tunisi ci sono i film egiziani e quelli indiani, lontani dalla sua sensibilità. Nel frattempo – e sempre grazie a quel professore – Moufida Tlatli ha conosciuto l’Idhec, la scuola di cinema a Parigi, partecipa al concorso di ammissione e ottiene na borsa di studio, il solo modo per convincere i genitori a lasciarla partire. Gli inizi professionali sono come direttrice di produzione, poi passa al montaggio. «Ero totalmente soddisfatta dal mio lavoro di montatrice, non avevo mai pensato alla regia – diceva in una intervista a «Le Monde» – Finché un giorno mia madre ha smesso di parlare: è andata avanti così per cinque anni, fino alla morte. Da quel silenzio in cui si racchiudevano tutti i silenzi che avevo conosciuto nella mia infanzia è nato il desiderio di scrivere e girare Les silences du palais».

NEL 2000 Tlatli realizza La saison des hommes – presentato anche questo a Cannes, nel Certain regard, e scritto insieme a Nouri Bouzid, un altro grande inventore degli immaginari arabi; ambientato a Djerba sceglie come voci narranti ancora una volta le donne le donne all’interno di regole e «costumi» e relazioni famigliari che ne sacrificano la felicità. Nel 2004 arriva Nadia et Sarra, un ritratto femminile nella fragilità del tempo che passa, che è anche la storia di una relazione tra madre e figlia, e soprattutto una riflessione sui «modelli» imposti alle donne e sulla loro violenza.