Niente sarà più come prima al Mottarone, vetta incastonata in un magnifico paesaggio tra i due bacini alpini dell’Orta e del Maggiore. La voglia di accelerare l’ascesa da Stresa al monte risale alla fine dell’Ottocento, ma solo nel 1911 venne inaugurata la ferrovia a cremagliera. Nel 1963, a causa della mancanza di investimenti per il mantenimento dei livelli di sicurezza, il servizio venne sospeso e temporaneamente sostituito da un’autolinea gestita dalla Società autoservizi Nerini, di proprietà del nonno di uno dei tre accusati della tragedia della funivia, Luigi Nerini, in carcere a Verbania.

LA SUA FAMIGLIA GESTISCE dal primo agosto 1970 l’impianto di risalita che in due tronconi raggiungeva i 1385 metri, in un pianoro immediatamente sotto la vetta. Ed è nella seconda sezione dove domenica, poco dopo le 12, la cabina numero 3 è precipitata a «folle velocità» trascinando nella caduta 15 persone. Il piccolo Eitan, 5 anni, l’unico sopravvissuto che ha perso mamma, papà e fratellino, è stato risvegliato dal coma farmacologico all’Ospedale Regina Margherita di Torino e presto verrà trasferito dalla rianimazione a un reparto di degenza.

È UNA «GRANDE FERITA per il Paese». Così l’ha descritta il ministro delle Infrastrutture Giovannini nell’informativa alla Camera. L’incidente è stato innescato dal cedimento del cavo di traino – fune su cui, ieri, si è soffermato nel primo sopralluogo il perito della procura di Verbania, Giorgio Chiandussi del Politecnico di Torino – e il resto l’ha fatto il mancato intervento del freno causato dalla presenza dei forchettoni. Giovannini si è soffermato sui particolari all’attenzione degli inquirenti: «Una riduzione della tensione o un suo annullamento dovuto alla rottura della fune traente, peraltro un evento molto raro nell’esperienza italiana, provoca automaticamente l’intervento del freno e l’arresto del veicolo. Parimenti un’avaria che provoca la perdita di pressione nel circuito idraulico». Quanto ai controlli, il ministro ha sottolineato che «sono previsti, in capo all’esercente, l’esecuzione di ispezioni annuali e di controlli giornalieri, settimanali e mensili». E ha aggiunto: «In caso di interruzione per periodi superiori a un mese, qual è quella determinata dall’emergenza sanitaria in corso, prima della ripresa del servizio è necessaria l’effettuazione da parte del gestore di specifici controlli».

DEI FORCHETTONI, utilizzati per disattivare il sistema frenante così da non dover bloccare l’impianto che registrava problemi da oltre un mese e non avere ripercussioni economiche, è tornata a parlare la procuratrice capo di Verbania Olimpia Bossi, accompagnata dalla pm Laura Carrera, definendo la scelta degli indagati «sconsiderata», tale da determinare la morte di 14 persone. Se confermata con il riconoscimento delle responsabilità e dello «spregio delle più basilari regole di sicurezza» per preservare la vita dei passeggeri, comporterebbe, hanno detto, «una condanna elevatissima». In carcere, ci sono Luigi Nerini, proprietario delle Ferrovie del Mottarone, il direttore di esercizio Enrico Perocchio e il capo servizio Gabriele Tadini, accusati di omicidio colposo plurimo e di rimozione od omissione dolosa di cautele aggravata dal disastro. È stato Tadini ad ammettere «di avere deliberatamente e ripetutamente inserito i dispositivi blocca freni (forchettoni), disattivando il sistema frenante di emergenza». Una condotta «di cui erano stati ripetutamente informati» Enrico Perocchio e Luigi Nerini, che, riporta il decreto di fermo, «avallavano tale scelta e non si attivavano per consentire i necessari interventi di manutenzione che avrebbero richiesto il fermo dell’impianto, con ripercussioni di carattere economico».

PER LA PROCURA di Verbania, sussisteva per i tre indagati il pericolo di fuga: dovrebbero essere interrogati domani dal gip, chiamato a decidere sulla richiesta di convalida del fermo e della misura dell’arresto avanzata dai pm. Perocchio, attraverso il suo legale ha fatto sapere di non aver autorizzato l’utilizzo della cabinovia con i forchettoni.