L’attesa è durata 78 lunghi giorni. Alla fine le motivazioni della sentenza del processo Xenia che ha condannato Mimmo Lucano a 13 anni e 2 mesi sono state depositate.

L’esposizione dei fatti rilevanti e delle ragioni giuridiche della decisione sono un colpo al cuore del modello Riace. I giudici di Locri smontano pezzo per pezzo l’idea utopica di accoglienza realizzata nel borgo jonico in venti anni.

“La povertà dell’ex sindaco era solo apparenza. In realtà ha sfruttato l’accoglienza per fini personali”. Lucano sarebbe stato dominus indiscusso del sodalizio criminale, sostengono i giudici. Un’organizzazione “tutt’altro che rudimentale, che rispettava regole precise a cui tutti si assoggettavano, permeata dal ruolo centrale, trainante e carismatico di Lucano il quale consentiva ai partecipi da lui prescelti di entrare nel cerchio rassicurante della sua protezione associativa, per poter conseguire illeciti profitti, attraverso i sofisticati meccanismi, collaudati negli anni e che ciascuno eseguiva fornendogli in cambio sostegno elettorale”.

I giudici locresi tuttavia non possono esimersi dal definire encomiabile il progetto inclusivo realizzato da Lucano, “invidiato e preso ad esempio da tutto il mondo. Ma essendosi reso conto che gli importi elargiti dallo Stato erano più che sufficienti, piuttosto che restituire ciò che veniva versato, Lucano aveva pensato di reinvestire in forma privata gran parte di quelle risorse, con progetti di rivalutazione del territorio, che, oltre a costituire un trampolino di lancio per la sua visibilità politica, si sono tradotti nella realizzazione di plurimi investimenti”.

Gli investimenti che Lucano avrebbe fatto con i soldi avanzati dal progetto di accoglienza per i migranti (“l’acquisto di un frantoio e di numerosi beni immobili da destinare ad alberghi per l’accoglienza turistica”), costituivano “una forma sicura di suo arricchimento personale, su cui egli sapeva di poter contare a fine carriera, per garantirsi una tranquillità economica che riteneva gli spettasse, sentendosi ormai stanco per quanto già realizzato in quello specifico settore, per come dallo stesso rivelato nel corso delle ambientali che sono state esaminate”.

Si tratta – annota il presidente del tribunale Fulvio Accurso- di risorse “che pure erano destinate a favore di quelle persone più deboli, del cui benessere e della cui integrazione, però, nessuno si interessava più, se non in forma residuale e strumentale, dal momento che un maggior numero di stranieri avrebbe comportato un aumento degli importi che lo Stato avrebbe corrisposto, cosi alimentando gli appetiti di chi poteva fare incetta di quelle somme senza alcuna forma di pudore. In buona sostanza nelle numerosissime pagine di intercettazioni e di documenti non vi è alcuna traccia dei fantomatici ‘reati di umanità’ che sono stati in più occasione evocati da più parti, in quanto le vorticose sottrazioni che sono state compiute non servivano affatto a migliorare il sistema di accoglienza e la qualità dell’integrazione, ma solo a trarre profitto nelle diverse forme esaminate che non avranno nessuna connotazione altruistica, né alcunché di edificante”.

Il collegio giudicante spiega di non aver ritenuto possibile concedere né le circostanze attenuanti generiche, né quelle invocate dai suoi legali (per aver agito per motivi di particolare valore morale o sociale, ndr) “non essendovi alcuna traccia dei motivi di particolare valore morale o sociale per i quali egli avrebbe agito, essendo invece emerso dal contenuto delle intercettazioni che la finalità per cui egli operò per oltre un triennio non ebbe nulla a che vedere con la salvaguardia degli interessi dei migranti, della cui presenza egli tuttavia ebbe a servirsi astutamente, a mò di copertura delle sue azioni predatorie, solo allorquando furono resi noti i contenuti di questa indagine, perché fu in quel momento che ebbe la necessità di mascherare le ragioni di puro profitto per le quali ebbe realmente ad operare (per interesse proprio e degli altri correi), per come si rileva in forma inequivoca dal contenuto delle sue stesse parole emerse dalla complessiva attività tecnica”.

La reazione dell’ex sindaco alla pubblicazione delle motivazioni non si è fatta attendere. “Le risultanze del processo dimostrano altro. È tutto molto strano. Dal processo non si evince per nulla l’interesse economico. Perché devo subire quest’aggressione mediatica basata su accuse infondate? Si infanga ancora una volta la mia immagine ma io non voglio che la gente abbia dubbi su di me. Aspetto di consultarmi con i miei avvocati per l’appello. Sono sicuro che dimostrerò la mia innocenza. In pratica – conclude Lucano – il Tribunale mi condanna sulla base di dubbi e di falsità. Il colonnello della guardia di finanza che è stato interrogato ha detto che non ho patrimoni e che non era mia intenzione arricchirmi. Io non ho nulla. Mi domando come mai in tanti anni di indagine gli investigatori non hanno mai trovato un euro nelle mie tasche. Lo hanno detto anche in aula. Dov’è questo tesoro? Non potranno mai dimostrare che mi sono arricchito semplicemente perché la realtà è diversa ed è quella che io ho sempre raccontato”.