Al Nordic Film Fest di quest’anno, fra le opere inserite nel ciclo di proiezioni a cura del Circolo Scandinavo di Roma – istituzione sempre troppo poco ricordata qui da noi, essenziale crocevia contemporaneo per gli artisti nordici in Italia – si segnala senza dubbio un titolo: Motholic Mobble (2008-2013). Si tratta di una serie di otto cortometraggi video creati – cioè, interpretati (ma verrebbe più da dire: «attraversati») e diretti – dalla giovane artista norvegese Kaia Hugin (www.kaiahugin.com), la cui ricerca – a oggi – si muove nel tentativo di ridefinire in forme originali certi rapporti tra performance fisica e immagine audio-video. Il titolo dell’opera è un neologismo da lei coniato, rimanda all’impressione/sensazione di un movimento tanto indeterminato quanto polimorfo. In ogni video la vediamo in situazioni stranianti o azioni destrutturanti (per una ragione o l’altra), situazioni e azioni in grado di indicare – ogni volta – un confronto ai limiti della corporeità, tra natura e cultura, in termini di tensione e trasformazione verso posture, figure o addirittura habitus altri. Nello specifico, tali intenzioni sembrano essere più visibilmente marcate in alcuni dei video della serie. Si possono citare due esempi su tutti: Motholic Mobble part 7 (Shadows, Twists and Endings) e Five Parts – a Motholic Mobble (part 5). Nel primo, il notevole lavoro sul suono – capace di restituire una atmosfera, se si vuole, quasi da thriller – «agisce» sul corpo dell’artista dettandone in maniera sempre più intensa l’azione in corso (come fosse un automatismo), fino a significarne – in ultimo – la metafora e il senso. Nel secondo è invece l’invenzione figurativa la qualità immediata attraverso cui l’artista norvegese offre la propria visione. Su sfondo nero – il più classico dei non luoghi – si presenta un corpo umano disarticolato, forse una pre-figurazione di un artaudiano corpo senza organi. È in lotta con se stesso, quasi fosse per il proprio annullamento, suggerendo – anche tramite una certa ironia di fondo – la labilità del confine tra mondo organico e mondo inorganico.
Detto questo, rimane però da ribadire come tanto i frammenti citati quanto tutta l’operazione generale siano un qualcosa dove la teoresi – per l’artista – sembra irriducibilmente conseguente al gesto espressivo. «Often I work quite intuitive»: è spesso questa la prima risposta data da Kaia Hugin quando viene interpellata riguardo un possibile metodo nel suo lavoro. È comunque la risposta di un’artista che sa quello che fa, la cui opera in questione, alla fine, è giocoforza dentro una tradizione di intersezioni tra antropologia e cinema sperimentale, a partire dalla lezione di Maya Deren. Motholic Mobble allora si presenterebbe come contributo – sofisticato – alla domanda di rappresentazione dell’irrapresentabile, del corpo come «corpo sottile». Una sfida da sempre propria dell’arte performativa più rigorosa.
Motholic Mobble, il corpo sottile del video secondo Kaia Huginn
Nordic Film Fest. Una serie di otto cortometraggi della giovane attrice norvegese nel rapporto tra performance fisica e immagine audio-video
Nordic Film Fest. Una serie di otto cortometraggi della giovane attrice norvegese nel rapporto tra performance fisica e immagine audio-video
Pubblicato 10 anni faEdizione del 12 aprile 2014
Gianluca Pulsoni, ROMA
Pubblicato 10 anni faEdizione del 12 aprile 2014