Sarebbero solo 2mila i combattenti di Daesh (Isis) nella zona occidentale di Mosul decisi a resistere all’avanzata di decine di migliaia di uomini delle forze armate irachene, appoggiati dai volontari dell’Hashd al Shaabi. A sostenerlo è un funzionario americano al seguito del segretario alla difesa Jim Mattis, giunto in Iraq più per rimediare a quanto aveva dichiarato Donald Trump in campagna elettorale – Washington «dovrebbe prelevare il petrolio iracheno per finanziare le sue spese di guerra» – che per dare il suo sostegno all’offensiva volta a riprendere la seconda città dell’Iraq sotto il controllo di Daesh dal 2014. La riconquista di Mosul rappresenterebbe un colpo mortale per il Califfato, proclamato proprio in questa città dal suo capo Abu Bakr al Baghdadi.

Saranno pure in 2mila a resistere a Mosul Ovest ma la netta superiorità delle forze governative non garantisce una vittoria rapida e indolore. Certo i jihadisti sono accerchiati: i ponti sul Tigri sono caduti e le forze di Baghdad hanno interrotto tutte le vie di fuga. Tuttavia se la presa di Mosul Est ha richiesto più di tre mesi di combattimenti feroci per la strenua resistenza opposta da Daesh, con ogni probabilità ci vorranno altri mesi per liberare la parte della città al di là del Tigri, più densamente abitata e più difficile da affrontare. Nelle sue stradine strette i blindati non possono passare e la città vecchia è occupata dai miliziani. Si prevedono settimane di combattimenti, strada per strada, casa per casa. A Mosul Ovest perlatro i jihadisti godono di sostegno. Gli abitanti sono nella stragrande maggioranza sunniti e tra questi tanti accolsero come “liberatori” quelli di Daesh quando entrarono nella città nel 2014. L’offensiva dei governativi sciiti non incontra il favore di una buona porzione dei 750mila iracheni che si troverebbero a Mosul. E il premier al Abadi ne è consapevole. Per questo quando domenica ha annunciato l’inizio dell’offensiva ha chiesto ai suoi soldati di trattare i civili con riguardo e di rispettare i diritti umani. Gira ancora sui social un filmato che ritrae soldati mentre colpiscono con calci e pugni quattro civili, li insultano e infine ne ammazzano tre crivellandoli di colpi.

Il dramma dei civili di Mosul è immenso. Colpisce il fatto che nessuno si preoccupi di loro mentre, alla fine dello scorso anno, la comunità internazionale e i media di tutto il mondo avevano puntano l’indice contro l’esercito siriano impegnato a riconquistare Aleppo infliggendo, secondo molti, tremende sofferenze ai civili siriani. I bombardamenti governativi iracheni e degli aerei della Coalizione a guida Usa invece non suscitano alcuna emozione. A Mosul Ovest la popolazione vive in un inferno fatto di malattie, fame e freddo. Trovare generi di prima necessità è difficile e scarseggia l’acqua potabile. A ciò si aggiungono le minacce degli uomini di al Baghdadi. Chi può prova a scappare ma superare le linee di combattimento è quasi impossibile. Gli appelli delle agenzie umanitarie sono drammatici. 350mila bambini sono intrappolati denuncia in un rapporto l’Ong internazionale Save the Children. Le Nazioni Unite in un appello avvertono che servono subito corridoi umanitari protetti attraverso i quali i civili possano essere evacuati e portati in salvo.

Sul fronte intanto regna l’ottimismo. «Non mi aspetto un combattimento molto duro: la loro fine è arrivata» prevede fiducioso Hakem Mohammed, un comandante delle forze del ministero degli interni. L’offensiva per ora ha toccato le aree meno popolate a sud della città, dove sono stati riconquistati 15 villaggi. Le forze irachene, con l’appoggio di aerei ed elicotteri, si stanno facendo strada verso l’aeroporto. «La polizia federale ha ripreso la sua avanzata…I nostri cannoni colpiscono le linee di difesa di Daesh con fuoco pesante» ha spiegato il capo della polizia Raed Jawdat. Lontano dal fronte James Mattis – che ha comandato le truppe americane durante l’invasione dell’Iraq del 2003 – prova a rassicurare gli alleati iracheni profondamente turbati prima dalle dichiarazioni sul petrolio fatte da Trump in campagna elettorale e poi dal decreto presidenziale, il muslimban, volto a bloccare per tre mesi gli ingressi negli Usa di sette Paesi musulmani. Mattis nel fine settimana era giunto negli Emirati per la sua prima visita in Medio Oriente da capo del Pentagono. Ha rassicurato le petromonarchie sul cambio di rotta della nuova Amministrazione nei confronti dell’Iran, dopo l’accordo sul nucleare con Tehran voluto da Barack Obama e contestato da re e principi del Golfo. Il segretario alla difesa ieri ha chiarito che gli Usa «non sono in Iraq per prendere il petrolio di nessuno». Ha poi annunciato che le truppe speciali americane rimarranno in territorio iracheno «per un po’» e ha promesso ulteriori aiuti militari.