E’ capitato molte volte e ancor prima che un ex attore diventasse papa di interrogarsi sul rapporto tra l’arte recitativa e il sacerdote che officia la messa. Spesso anche l’aggettivazione per alcuni grandissimi divi del passato remoto finisce per gravitare attorno al sacerdotale, per attestare la custodia di qualcosa di sacro ed inavvicinabile, un fuoco e un mistero al medesimo tempo.

Sicuramente tra le sacerdotesse della recitazione Sarah Bernardt occupa un posto eccezionale, eppure come apprendiamo da queste memorie appena pubblicate da Castelvecchi (La mia doppia vita, pp. 465, € 25), si tratta di una vocazione scoperta proprio dopo la rinuncia forzata ai voti.

La famiglia infatti si oppone fermamente al suo proposito, appena adolescente (era nata nel 1844, a Parigi), di diventare suora, e quando il suo carattere intemperante la pone in condizioni problematiche anche dentro al collegio ecco a qualcuno dei padrini, amici, sodali della famiglia (tra cui c’è anche Rossini) venire in mente qualcosa di sconosciuto alla giovane Sarah. Ovvero il Conservatorio.

Prima c’è stata appena l’occasione per salire sul palco in occasione di una recita scolastica in Tobia che riacquista la vista, una commedia di evidente argomento religioso scritta dalla madre Santa Teresa.

Nessuno però, come rileva lei in queste memorie che arrivano fino al 1880, l’anno della trionfale tournée negli Stati Uniti, si è peritato di dirle quanta solitudine, una solitudine mai provata prima, l’avrebbe accompagnata sul palcoscenico sin da quei fatali istanti in cui una voce avrebbe pronunciato il suo nome per l’inizio del provino.

Ad ascoltarla ci sono dei veri e propri marpioni della scena, tra cui Beauvallet, il “tonante attore tragico della Comédie française”. Qualcuno sghignazza, continuano le interruzioni che ovviamente mettono in crisi la sua acerba capacità di concentrazione.

Questo però non pregiudica lo stesso la sua ammissione al Conservatorio e l’inizio di una carriera ineguagliabile. E’ a quel punto, dice lei stessa, che inizia un momento nuovo della sua vita in cui per la prima volta inizia ad affermarsi la sua volontà.

Nata da una famiglia benestante della borghesia parigina, la Bernardt aveva iniziato così il percorso che l’avrebbe portata appena qualche anno alla Comédie française e poi, a neanche quarant’anni, nel 1880, l’anno in cui terminano queste memorie, a viaggiare in tutto il mondo con la sua compagnia.

Capricciosa, caratteriale, tonante, irascibile, incontrollabile nelle reazioni eppure così dolce e attenta alla gentilezze delle persone in altre. Da questo libro, oltre ad un interessante ed intrigante ritratto inedito di tutto un milieu sociale durante quello che è stato chiamato il Secondo Impero, c’è proprio al termine di questo una sorpresa inaspettata.

Ovvero il vibrante, partecipe diario, verrebbe da dire giorno per giorno, della disastrosa guerra franco-prussiana, che costò alla Francia l’Alsazia e la Lorena e un lungo, umiliante assedio di Parigi.

La Bernardt segue questi fatti come aiutante infermiera con un calore patriottica che le sue parole fino ad allora non hanno lasciato presagire, così affettate, compiaciute, viziate com’erano. Si vota anima e corpo alla patria, ad aiutare quei poveri fantaccini che arrivano nelle sale dell’Odéon, improvvisato ospedale, già dilaniati dalla polvere da sparo o dalle schegge delle granate.

Poi arriva la Comune, verso la quale l’attrice non nasconde l’antipatia viscerale, lei così devota di Luigi Napoleone e dell’imperatrice Eugenia.

C’è comunque il tempo, finita la breve esperienza rivoluzionaria, di riprendere il suo posto d’attrice e di decollare definitivamente verso il pantheon grazie anche al rapporto che stabilisce con Victor Hugo.

L’incontro tra i due non è semplice, l’attrice già così attrice anche nel modo di essere e lo scrittore assolutamente non propenso ad ammorbidire la propria intemperanza neanche per un secondo.

I due si incontrano attraverso il testo cardine del teatro romantico: Ruy Blas. Il 26 gennaio all’Odéon, c’è tutta Parigi a vedere la Bernardt interpretare la Regina di Spagna ed è un successo clamoroso. “Quel 26 gennaio – scrive lei stessa- strappò il velo leggero che offuscava ancora il mio avvenire, e sentii che ero destinata a diventare famosa. Fino a quel giorno ero rimasta la piccola fata degli studenti: divenni l’eletta del pubblico.”

Da un punto di vista tecnico poche cose la Bernardt lascia trasparire sui segreti dell’arte recitativa, anche perché come scrive lei stessa dopo il Ruy Blas è diventata a tutti gli effetti padrona della scena e non teme certo le intromissioni dell’ancor debole (la regia ancora non esiste) direttore di scena.

Quello che si capisce è la determinazione con cui praticamente sin dai primi passi della sua carriera d’attrice la Bernardt sia consapevole della necessità di mostrarsi tanto forte come attrice quanto impenetrabile in fondo per un cronista dell’epoca o per un curioso dei giorni nostri, che volesse capire come davvero si muove sulla scena.

Da qui la ridondanza della sua prosa, piena di belletti e di piccoli moti d’animo, in linea con i romanzi d’appendice o con l’immaginario della società europea della seconda metà dell’ottocento.

Sulla sua arte nulla la Bernardt lascia trasparire, tutto deve sembrare il più possibile naturale, spontaneo, e siccome stiamo parlando di una inimitabile attrice, misterioso. Lei è la sacerdotessa.