Che Mostra sarà questa che si inaugura oggi, la prima del secondo mandato alla direzione di Alberto Barbera confermato per altri quattro anni? La domanda di rito che si pone a ogni vigilia per questa 73a edizione risuona molto più aperta. E non si tratta solo del programma caratterizzato da una massiccia presenza nazionale disseminata tra selezione ufficiale e sezioni parallele. O della nuova sala del Giardino, un cubo rosso che fa molto Neon Demon, il cui intento sembra oltre a quello di «coprire» il buco lasciato aperto dopo la scoperta dell’amianto, riportare al Lido un pubblico «vero» di grandi numeri – qualcuno l’anno scorso lamentava un orizzonte deserto o quasi dopo il primo fine settimana – con una programmazione che mischia tendenze e nomi – da Gabriele Muccino a James Franco. O ancora del nuovo «ponte» di produzione, Bridge, che offre ai progetti selezionati l’opportunità di incontrare produttori internazionali con cui chiudere il budget di lavorazione, una novità quest’ultima importante che va nella direzione di attivare anche a Venezia un mercato cinematografico.

Perché poi se ogni anno nei giorni che si snocciolano lenti sull’isolotto veneziano le lamentele risuonano come un mantra – noia, cibo cattivo, prezzi alti, scorbutaggine dei lidensi, poca gente troppa gente ecc ecc – la Mostra rimane l’appuntamento privilegiato per il cinema italiano tutto, grande, medio, piccolo, più di Cannes o della Berlinale, e a costo di sacrificare altre rassegne estive importanti come il sempre più hipster festival di Locarno, per attese spasmodiche e notti insonni e appiccicose e vacanze rinviate aspettando un segno da qui.

Ma il punto è proprio questo: il cinema nazionale. La Mostra 73 – la cui madrina nella serata d’apertura è l’attrice Sonia Bergamasco – rispetto al cinema italiano ha fatto delle scelte «eccentriche» presentando un concorso che mescola diverse generazioni – Giuseppe Piccioni e Roan Johnson – e Martina Parenti e Massino D’Anolfi col loro Spira Mirabilis, due registi che da anni fanno il giro del mondo – Vìsions du Reel, Hot Docs, Berlinale, Locarno ecc – ma che in Italia hanno finora avuto pochi spazi mediatici e in sala fuori dai festival. Spira Mirabilis – che ha vinto il primo premio agli Atelier del Milano Film Network – viene presentato come un «documentario», lo era anche Sacro Gra di Rosi, che ha vinto il Leone qualche anno fa, o il molto bello The Look of Silence di Oppenheimer sempre in concorso a prova di una vocazione veneziana che supera la barriera dei generi (imposta a Cannes) e apre a immagini differenziate.

È un documentario anche Liberami in cui Federica Di Giacomo, documentarista narrativa (Housing) racconta il ritorno dell’esorcismo, mentre è un esordio Il più grande sogno di Michele Vannucci. Sono film indipendenti, nomi nuovi almeno per un pubblico meno specialistico, registi che esplorano possibilità diverse del cinema, che spesso rappresentano l’immaginario italiano nel mondo e che la nuova legge sul cinema rischia di far scomparire.

Il suo promotore, il ministro Dario Franceschini sarà al Lido il 5 settembre a presentare una campagna per sostenere il cinema avviata insieme a esercenti, produttori, distributori. Intanto le società che si dice, non senza malizia della legge sono le ispiratrici (Wildside,Cattleya, Palomar …) hanno annunciato la nascita di un «terzo polo» della distribuzione insieme a Sky che sembra mettere in difficoltà Raicinema. Senza dimenticare che nella nuova legge la serialità, modello di successo e riferimento – il neotrucido alla Gomorra – entra con prepotenza.

Sky sarà presente al Lido con l’anticipazione di due puntate della serie firmata da Paolo Sorrentino The Young Pope (in onda dal 21 ottobre) – Il giovane papa, ovvero Pio XIII al secolo Lenny Belardo, il primo pontefice americano, a cui dà vita il divo Jude Law.
Se questi sono gli imperativi (per legge) è perciò non retorico chiedersi quali saranno dunque gli spazi produttivi per molto del cinema presente alla Mostra. E quali i margini per una diversità. Lo scopriremo molto presto.