Non è stata una sorpresa l’annuncio fatto prima che cominciasse la conferenza stampa di presentazione del programma delle Giornate degli Autori, la sezione autonoma della Mostra di Venezia che ospita ogni anno alla Villa degli Autori dibattiti legati alla politica culturale: già nei giorni precedenti una serie di notizie aveva dato l’allarme.

Angelo Barbagallo presidente della sezione produttori dell’Anica ha letto il comunicato del mondo del cinema contro i tagli al tax credit, tagli immotivati poiché per la copertura dei fondi allo spettacolo era stata creata una nuova accisa sulla benzina con questa destinazione: un terzo destinato al tax credit e due terzi alle missioni all’estero. Barbagallo ha lanciato il dubbio che l’accisa abbia semplicemente cambiato rotta, e si sia rivolta a sostenere la nautica di lusso.

La Mostra di Venezia è sempre stata una passerella di politici e notabili, evitati dagli appassionati di cinema, più spesso contestati per i loro inutili discorsi che nel corso del ventennio hanno contribuito assiduamente ad abbattere la cultura in Italia.

Lo sfacelo continua anche ora, lo provano i fatti ed è per questo che all’annuncio che Massimo Bray il Ministro dei Beni culturali indice a Venezia un’assise «per parlare» di cinema, tutte le associazioni dello spettacolo dichiarano compatte che non parteciperanno ad alcun convegno veneziano e, come si dice nel comunicato, «ritireranno immediatamente i propri rappresentanti dai tavoli preparatori degli Stati Generali, riterranno sgradita la presenza di chiunque del Governo voglia presenziare a manifestazioni veneziane, annunciando fin d’ora di uscire dalle sale di proiezione se questo accadesse, metteranno in campo da oggi le iniziative di lotta e mobilitazione più utili, efficaci, eclatanti, per far capire ai cittadini come l’Italia sarà più povera senza il proprio cinema».

Anche Lidia Ravera assessore alla cultura della Regione Lazio ha portato la solidarietà sua e di Zingaretti ai lavoratori (un indotto considerevole soprattutto nel Lazio), agli imprenditori e agli autori, con la promessa di sostenere le loro lotte.

«Mai più tagli alla cultura, se dovesse accadere mi dimetterei». Dove abbiamo sentito queste affermazioni? Già, sono di Letta appena nominato premier: invece lo scontro si è acceso già poco dopo nel mese di luglio, quando il governo ha tagliato 45 milioni al tax credit dopo aver tagliato di 22 milioni il fondo unico dello spettacolo (il tax credit, ricordiamolo è il credito d’imposta che prevede la possibilità di compensare debiti fiscali con il credito maturato a seguito di un investimento nel settore cinematografico). È intervenuto nei giorni scorsi contro queste decisioni Riccardo Tozzi presidente dell’Anica che allarga il pericolo anche a tutto l’indotto del turismo ed ha tenuto a ricordare che al contrario di quanto aveva dichiarato, «Letta sta facendo il più grosso taglio al cinema mai fatto dai governi precedenti».

Il pericolo per il cinema, come per le altre industrie italiane, è quello della delocalizzazione, un fenomeno già abbondantemente utilizzato dalla televisione negli anni passati, che significa lasciare senza lavoro le maestranze in Italia. È una questione di cifre, ma più ancora uno scenario desolante: nel documento che le associazioni hanno presentato ai ministri erano contenute le richieste del settore: ripristino a 90 milioni per la dotazione del tax credit contro un taglio che ferma il 90% dei nostri film e blocca l’arrivo di produzioni estere.