Dopo 12 anni Mostar, la città divisa della Bosnia-Erzegovina, torna al voto. Il capoluogo dell’Erzegovina, a maggioranza croata, è l’ultima delle città a rinnovare il consiglio comunale. Nel resto del Paese le amministrative, tenutesi lo scorso 15 novembre, hanno segnato l’arretramento dei partiti etno-nazionalisti che hanno dominato la scena politica bosniaca del dopoguerra, un importante segnale di cambiamento giunto quasi in concomitanza del 25° anniversario degli accordi di Dayton che posero fine al conflitto degli anni Novanta.

DI QUESTA TORNATA elettorale, il voto di Mostar è quello più atteso. La città simbolo della guerra tra croati e musulmani bosniaci e delle divisioni etniche cristallizzate negli accordi di pace, torna al voto dopo uno stallo politico originato nel 2004, quando l’allora ex Alto Rappresentante Lord Paddy Ashdown modificò lo statuto di Mostar e la legge elettorale della città.

Investita del caso, la Corte costituzionale ne aveva dichiarato l’incostituzionalità. Secondo la Corte le modifiche volute dal guardiano degli accordi di pace avevano come effetto quello di non rispettare il principio di uguaglianza del voto. I giudici avevano dato sei mesi di tempo per modificare la legge elettorale, e tre per cambiare lo statuto. Era il 2010 e quei mesi sono diventati 10 anni. Dieci anni in cui la città di Mostar si è ritrovata ad essere amministrata in sostanza solo da due uomini: il sindaco Ljubo Beslic, croato, esponente dell’Hdz BiH, eletto per la prima volta nel 2004, poi riconfermato nel 2008 e rimasto in carica finora dopo aver assunto un mandato tecnico.

Il secondo, il musulmano Izet Sahovic, esponente dell’Sda, è a capo del dipartimento finanziario della città. I due avrebbero speso finora più di 400 milioni di marchi bosniaci a loro discrezionalità, senza che nel frattempo venissero indette nuove elezioni. Una violazione dei principi fondamentali dello stato di diritto, come riconosciuto dalla Corte europea dei diritti dell’uomo che nell’ottobre dello scorso anno ha condannato la Bosnia-Erzegovina per non aver attuato la sentenza della Corte costituzionale del 2010 e per la discriminazione che ne è derivata a danno dei cittadini di Mostar, impossibilitati a eleggere i propri rappresentanti.

A giugno, la svolta. Dopo la sentenza e le pressioni della comunità internazionale Bakir Izetbgovic, leader dell’Sda e Dragan Covic, leader dell’Hzd BiH, hanno trovato un accordo, confermato dall’Assemblea parlamentare della Bosnia Erzegovina, con cui si è modificata la legge elettorale della città di Mostar, permettendo così lo svolgimento delle elezioni che avranno luogo oggi.

 

 

Il voto assume un significato ancor più importante anche alla luce dei risultati delle amministrative dello scorso novembre, e in una prospettiva più ampia dei cambiamenti emersi dalle urne in Montenegro, Kosovo e ancor prima in Macedonia del Nord.

EPPURE L’ESITO del voto a Mostar appare più incerto. A contendersi i 35 consiglieri della città sono principalmente due coalizioni: l’Hdz BiH che ha candidato l’urologo Mario Kordic e la Coalizione per Mostar che raggruppa sei partiti guidati dall’Sda. A sfidare il monopolio dei partito etno-nazionalisti è la coalizione multietnica BH Blok, formata dai socialdemocratici dell’Sdp e da Nasa Stranka, partito di orientamento socialdemocratico.

I voti dei croato-bosniaci potrebbero però confluire in altri partiti croati, tra cui l’Hrs di Slaven Raguz, partito conservatore di destra favorevole alla creazione della terza entità, a maggioranza croata (attualmente sono due, la Federazione croato-bosniaca e la Republika Srpska, a maggioranza serba).

Chi invece potrebbe approfittare di questa frammentazione è la lista «Restate qui – Insieme per la nostra Mostar», coalizione che riunisce l’Snsd del leader serbo-bosniaco Dodik e l’Sds, una coalizione sostenuta dalla Chiesa ortodossa serba oltre che dalle autorità della Republika Srpska.

IL VOTO INFINE rappresenta un test per le relazioni tra Bosnia-Erzegovina e Croazia, caratterizzate dalla forte ingerenza di Zagabria negli affari interni e nelle relazioni esterne della Bosnia, come dimostrato anche dalle recenti dichiarazioni del presidente croato, Zoran Milanovic che in occasione dell’anniversario di Dayton ha dichiarato che gli accordi di pace non possono essere modificati «senza violenza». L’ombra lunga di Zagabria si è estesa alla campagna elettorale di Mostar con il controverso coinvolgimento del premier croato Andrej Plenkovic, leader dell’Hdz croato, di alcuni ministri del suo governo e di funzionari di partito che si sono recati a Mostar per sostenere il partito gemello croato-bosniaco. Una situazione non dissimile da quella di Banja Luka dove la campagna elettorale ha risentito dell’influenza di Belgrado. Inutilmente.