Ricorsi in Tribunale (9 su 9 respinti), studi del Cnr sull’inutilità dell’opera, sentenze della Corte dei conti sugli appalti, decine di manifestazioni popolari contro il mostro della laguna. L’archivio della lotta alle paratie mobili (anche delle tangenti) è lungo e documentato. Comincia fin dagli anni ‘80 con le critiche all’opera ancora sulla carta del mega-progetto e i manifesti «contro» affissi fino alla stazione. Poi, a cavallo del Duemila, all’opposizione tecnica si affianca la protesta per il danno ambientale finché, d’autorità, «le incursioni» ai cantieri del Mose si trasformano solo in un problema di ordine pubblico.

A gennaio 2010, il Tribunale di Venezia accusava di «sabotaggio» il gruppo di dimostranti No Mose – tra cui Luca Casarini – per l’«invasione» della diga di San Nicolò al Lido, mentre la Regione presentava la richiesta di risarcimento danni pari a 100 mila euro. Accuse mirate, precise, dettagliate, in gran parte decadute. Eppure più che sintomatiche del clima di protezione intorno alla più costosa Grande Opera della Repubblica.

Altrettanto sintomatica (e ben precedente all’inchiesta della Procura) l’inquietante denuncia collettiva di associazioni, comitati e centri sociali veneziani. Dall’assemblea permanente NoMose ad AmbienteVenezia, da Medicina Democratica al Coordinamento cittadino contro le Grandi Navi fino al Laboratorio Morion. Bastava leggere, nel 2010, la presa di posizione in comune: «Nessuno ha il coraggio di disturbare la potentissima lobby del Consorzio Venezia Nuova che ha messo le mani sui fondi della Legge speciale e sta divorando i 4,2 miliardi di euro che servono per costruire un’opera vecchia, inutile e pure dannosa». Una cartina di tornasole. Non basta, perché il Mose nel frattempo entra anche nel mirino dell’Unione europea con la richiesta di infrazione per la singolare modalità del «concessionario unico», cioè degli appalti gestiti dal Consorzio Venezia Nuova senza gare di evidenza pubblica. Ancora, è possibile scandagliare le ripetute denunce di Italia Nostra, che paragonava il costo esorbitante del Mose in confronto ad analoghi progetti in Gran Bretagna e Paesi Bassi. Oppure l’opposizione del Wwf (con il Comune) contro il parere favorevole della Commissione di salvaguardia di Venezia all’inizio dei lavori alla bocca di porto di Pellestrina.

Nella lotta contro il Mose risulta anche la maxi petizione (firmata da 12.500 veneziani) depositata a tutti i livelli istituzionali, così come l’esposto alla Commissione europea di Luana Zanella, deputata dei Verdi. Era il 19 dicembre 2005, allora la violazione della Rete Natura 2000 e il mancato rispetto della Direttiva Ue sulla protezione degli uccelli sembrano poca cosa. Non a Bruxelles, dove viene avviata la procedura di messa in mora dell’Italia e il congelamento dei soldi al Mose.

Proteste e manifestazioni continuano senza sosta, si moltiplicano i rapporti «confidenziali» dei pescatori che vedono gli effetti direttamente sul mare: in ballo c’è il finanziamento della Banca europea degli investimenti, 1,5 miliardi per le paratie della laguna. I fondi si sbloccano solo nell’aprile 2009 grazie alle assicurazioni del Magistrato alle acque (l’attuale e il precedente risultano indagati) e dei dirigenti dell’onnipresente Consorzio che danno assicurazioni su cantieri e bonifiche a fine lavori.