A 48 ore dalla risoluzione Onu che chiede il cessate il fuoco per 30 giorni, in Siria si continua a combattere. Bombe cadono su tutti i fronti: Ghouta est, Afrin, Idlib, Deir Ezzor. E nessuno intende rallentare, a sentire le dichiarazioni rilasciate ieri da Turchia e Iran e i rimbombi dei raid statunitensi e governati e dei missili lanciati nelle varie enclavi jihadiste dalle opposizioni islamiste.

Nel caos siriano, come spesso accaduto negli ultimi anni, si impone la voce russa, con il presidente Putin che approfitta di ogni occasione per farsi ago della bilancia: ieri ha ordinato «una pausa umanitaria» di cinque ore al giorno nei raid contro Ghouta est, il sobborgo di Damasco controllato dalla qaedista al-Nusra e da giorni vittima dello scontro diretto con il governo siriano. «Su istruzione del presidente – spiega il ministro della Difesa Shoigu – con l’obiettivo di evitare vittime civili, dal 27 febbraio dalle 9 alle 14 sarà in vigore una pausa umanitaria».

Una tregua unilaterale, dunque, a partire da oggi a cui – aggiunge Mosca – affiancare corridoi umanitari e anche una commissione umanitaria per Raqqa gestita dall’Onu per «la situazione epidemiologica critica» dovuta al «gran numero di cadaveri» rimasti tra la macerie.

Non sono stati forniti dettagli sulle modalità di consegna degli aiuti ai 400mila civili di Ghouta est intrappolati all’inferno, prigionieri dell’assedio interno qaedista e di quello esterno governativo, senza più cibo e acqua.

Di certo si sa che gli scontri ieri sono andati avanti, con dieci morti – secondo le opposizioni – per raid del governo (520 in totale da domenica 18 febbraio, dice l’Osservatorio siriano, associazione anti-Assad con sede a Londra e un solo membro dello staff ). Dall’altra parte, riporta l’agenzia iraniana Irna, i colpi di mortaio jihadisti sono piovuti sulla capitale, uccidendo domenica 26 persone.

Nella natura delle opposizioni sta il nodo della tregua che esclude Isis, al Qaeda e al-Nusra (con queste due ultime ideologicamente legate, seppur formalmente divise). Teheran ieri ha ribadito che l’offensiva su Ghouta prosegue perché a gestire le operazioni è la qaedista al-Nusra, a capo di quattro gruppi islamisti (Jaish al-Islam, Ahrar al Sham, Fajr al Ummah e Feylak Ar Rahman, quest’ultimo legato al «moderato» Esercito Libero) che qui hanno creato il loro centro di comando e il luogo di detenzione di centinaia di prigionieri.

E mentre l’Onu, per bocca del segretario Guterres, chiede l’immediata implementazione del cessate il fuoco, i primi a sfilarsi sono i turchi, a dimostrazione che ognuno, nel personale calderone del «terrorismo» da colpire a prescindere dalla tregua, mette chi vuole: il vice premier turco Bozdag ha precisato che, a suo vedere, l’operazione su Afrin non rientra nella tregua perché «condotta contro terroristi». Non solo: ad Afrin la Turchia ha inviato i 600 uomini del battaglione curdo Falcons, nel chiaro obiettivo di mistificare la natura etnica dell’operazione.

Bombardano anche gli Usa: domenica un raid su Albu Kamal (confine con l’Iraq) ha ucciso 25 civili, 29 ieri in bombardamenti Usa sulla provincia di Deir Ezzor, dove l’Isis è tuttora presente. Civili vittime anche a ovest, secondo il governo di Damasco, per attacchi delle opposizioni: quattro morti a Tell Salhab, ad Hama, e 14 a Idlib.

La conta quotidiana non si ferma nella guerra a bassa intensità riesplosa con tutta la sua potenza e la sua ipocrisia: ogni attore coinvolto tira la coperta corta delle Nazioni unite e di una risoluzione, la 2401 approvata sabato, che è lo specchio della difficoltà a definire natura e confini dei gruppi di opposizione anti-Assad.

Una galassia di forze qaediste, salafite e jihadiste, mosse dal «sogno» di un emirato sunnita in pezzi di territorio siriano, affatto distanti dal modello Stato Islamico. I miliziani di Ghouta est sono gli stessi di Idlib e del sud, esclusi per definizione dalla tregua. Allora a chi dovrebbe applicarsi? La risposta la danno i raid di queste ore, che non cessano devastando ancora di più, se possibile, la vita dei civili, i cui corpi sono il vero teatro di guerra globale.