Il governo americano sta attivamente cercando di inquinare le elezioni presidenziali russe del prossimo 18 marzo. Ne sono convinti al Cremlino che vedono in tre prese di posizione del governo americano delle ultime 24 ore il tentativo di condizionare e manipolare il voto dei russi, in quella che si può definire già un vero e proprio «Usagate».

Ieri il segretario al tesoro Steven Mnuchin, intervenendo all’Università della California, ha promesso che nuove sanzioni sono in preparazione contro personaggi di primo piano dell’establishment e del mondo degli affari russi. «Abbiate pazienza – ha dichiarato il ministro Usa – Le sanzioni saranno introdotte nei prossimi 30 giorni».

A Mosca non hanno dubbi che saranno «sanzioni ad orologeria», promulgate proprio un attimo prima che in Russia si aprano i seggi. E i nomi della lista che si sta completando a Washington e che già circolano insistentemente nei corridoi del Cremlino sono esplosivi. Si tratterebbe del capo del servizi del Fsb Nikolay Patrushev, del potente sindaco di Mosca Sergey Sobyanin, del vice premier Dmitry Rogozin oltre che di un’altra manciata di ministri del governo Medvedev.

Ma soprattutto di Alexey Miller e di Igor Sechin rispettivamente presidenti dei colossi energetici Gazprom e Rosneft. Due uomini da sempre al fianco di Putin sin dai tempi di San Pietroburgo. Meno probabile il coinvolgimento di Dmitry Medvedev attuale premier, di Dmitry Peskov portavoce ufficiale di Putin e del capo della diplomazia Sergey Lavrov, tutti e 3 nella «Lista del Cremlino» preparata un mese fa a Washington, anche se a Mosca ormai ci si aspetta qualsiasi colpo di testa dalla Casa Bianca. Putin ha comunque già da tempo promesso una «risposta simmetrica» alle nuove sanzioni americane.

A Mosca si teme soprattutto che una vasta campagna di disinformazione e di aggressione americana alla Russia conduca molti elettori a non votare, riducendo il significato politico e propagandistico della quarta rielezione di Putin al vertice dello Stato.

Solo qualche ora più tardi, dopo che domenica l’opposizione liberale era scesa in piazza a Mosca per ricordare l’omicidio Boris Nemzov, il Dipartimento di Stato «esortava» il governo russo «a garantire che tutti coloro i quali sono coinvolti in questo crimine, compresi gli organizzatori e i mandanti siano assicurati alla giustizia». Non è mancato neppure un richiamo roboante alla memoria di chi «ha dedicato tutta la sua vita a servire lo stato e gli obiettivi di creare una Russia più libera e prospera».

Nemzov, leader dell’opposizione russa, fu ucciso tre anni fa non lontano dal Cremlino. I suoi assassini, tutti cittadini ceceni, furono in seguito arrestati e condannati, ma si sono sempre rifiutati spavaldamente di confessare chi fossero i mandanti dell’omicidio. Un interrogativo che assilla giustamente molti russi, ma di cui non si comprende l’interesse del governo Usa visto il pessimo curriculum accumulato in tutto il mondo in tema di diritti umani.

In questa campagna russofoba, si inserirebbe anche lo stanziamento di 40 milioni di dollari deciso del dipartimento di Stato «per l’attuazione di varie iniziative per contrastare la propaganda e la disinformazione anti-americana in paesi stranieri». Un investimento – sulla base di un invito esplicito di qualche mese fa del Congresso Usa – volto a contrastare la propaganda anti-Usa in Russia. La novità è però che ora il governo americano si dichiara, a questo fine, disposto «anche a finanziare società e organizzazioni non governative russe». «Anzi ne saremmo ben felici» ha chiosato il sottosegretario Steve Goldestein.