Mentre sembra ormai delineata la composizione – non così i rapporti tra i gruppi parlamentari – della nuova Rada uscita dalle elezioni di domenica scorsa, il Ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov, in un’infinita intervista alle Izvestija, conferma che Mosca riconosce come «effettivo» il voto del 26 ottobre. E riconoscerà anche le elezioni che si terranno domenica 2 novembre nelle regioni di Donetsk e di Lugansk in cui, come hanno dichiarato Barack Obama e il segretario della Nato Jens Stoltenberg, «i separatisti russi hanno impedito agli ucraini di esercitare il proprio diritto di voto».
Guarda caso, è proprio nelle aree di quelle due regioni controllate da Kiev, in cui le elezioni si sono svolte, che il «Blocco dell’opposizione» – l’unica formazione non filo occidentale a raccogliere circa il 10% dei suffragi – ha mietuto i maggiori consensi.

Appaiono dunque a senso unico i peana nostrani per un voto che ha «visto prevalere in maniera netta i partiti filo occidentali» e da cui esce invece quella che il Pc ucraino definisce una «Rada tascabile a uso e consumo del potere di Kiev». Una Rada in cui, se non sarà presente l’ultradestra Svoboda (nel voto di lista non supera la soglia del 5%), ci sarà però il capo del gruppo neofascista «Pravyj sektor», Dmitrij Jarosh, eletto nel collegio uninominale di Dnepropetrovsk; una Rada in cui il leader del Partito radicale russofobo Oleg Ljashko è già stato invitato a partecipare alle consultazioni per la coalizione di governo. Mosca riconoscerà anche le elezioni del 2 novembre nelle Repubbliche popolari che, secondo Lavrov, rispondono agli accordi di Minsk del 5 e 19 settembre: «Contiamo che si tengano liberamente e che nessuno dall’esterno cercherà di rovinarle», ha detto Lavrov. Riferimento molto esplicito a una paventata provocazione armata del governo ucraino che ieri il Comitato affari esteri del Consiglio federale (il Senato) russo, mentre si diceva pronto alla collaborazione con la Rada, accusava di violare proprio gli accordi di Minsk: «In Ucraina può avviarsi una nuova spirale di guerra civile e di tensione con la Russia», ha dichiarato il senatore Igor Morozov, anche perché la nuova Rada è «più radicale e più controllata dagli Usa, che sono interessati a un’ulteriore escalation del conflitto».

I senatori russi ritengono che la nuova coalizione governativa a Kiev sarebbe in grado di controllare gli orientamenti guerrafondai e revanscisti, ma «a giudicare dagli spostamenti di truppe, gli attacchi continui e le azioni dei gruppi terroristici a Donetsk, si darà il via alla guerra nel Donbass e anche molto presto», forse proprio in occasione delle elezioni.

In generale, se Lavrov confida in una nuova Rada «più responsabile nella ricerca delle soluzioni dei problemi del paese», diversi parlamentari temono il peggio – fino a una possibile dichiarazione di guerra alla Russia – proprio a causa della composizione più radicale in senso nazionalista e filofascista dell’Assemblea legislativa, che sosterrà un governo in cui al più «accomodante» e filo europeo Poroshenko si affiancheranno i falchi pro americani Jatsenjuk e Ljashko.

Ieri intanto, mentre partiva da Mosca il quarto convoglio umanitario destinato alle popolazioni civili di Donetsk e Lugansk, Vladimir Putin ha indirizzato agli ucraini un messaggio di felicitazioni per il 70° della liberazione dall’occupazione nazista, rilevando che «i popoli russo e ucraino devono conservare con cura le tradizioni di amicizia fraterna».