Le notizie che arrivano dal fronte del Nagorno-Karabakh, dove da domenica gli eserciti azeri e armeni sono tornati a combattersi, sono frammentarie e limitate ma parlano di intensi scontri tra i due eserciti con l’utilizzo di artiglieria pesante, carri armati e aviazione.

LE UNICHE IMMAGINI disponibili sui combattimenti di ieri sono state fatte circolare dal canale Telegram russo WarGonzo dalla regione di Martakert che si trova ben all’interno del territorio del Nagorno Karabakh, a conferma delle voci insistenti secondo cui l’esercito azero avrebbe conquistato alcune posizioni e starebbe avanzando.

Lo stato maggiore armeno parla anche di ulteriori offensive azere in atto che però sarebbero state fermate: «Il nemico ha lanciato un nuovo attacco su larga scala nella valle di Araks e nella regione di Matagis-Talish. Il nostro esercito ha respinto con successo tutti gli attacchi, infliggendo danni al nemico sia in termini di uomini sia di armamenti».

I due stati maggiori hanno passato la giornata a scambiarsi accuse soprattutto riguardo i bombardamenti sulla popolazione civile. Erevan accusa Baku di aver bombardato insistentemente la città armena di Vardenis provocando alcuni morti, mentre gli azeri sostengono che dieci persone sono morte dopo che una granata ha colpito un edificio residenziale nella città azera di Naftalan.

Per ora si tratta di casi isolati di bombardamenti sulle popolazioni civili dovuti probabilmente a errori di mira, ma resta alta la possibilità che il conflitto coinvolga non solo l’enclave e che si arrivi a una rapida escalation. Gli occhi restano puntati sui tentativi di aprire dei canali di trattativa tra i due paesi della Transcaucasia.

Nikol Pashinyan, il premier armeno, ieri ha telefonato a Merkel denunciando «l’imperialismo ottomano»: è probabilmente convinto che la chiave per fermare il conflitto non stia a Mosca e si debba far leva sui timori dell’Unione europea per la crescente aggressività turca di cui gli screzi con Cipro sono solo l’ultimo esempio.

BERLINO IN REALTÀ ha le mani legate perché – piaccia o no – la Turchia resta un membro imprescindibile della Nato e non può certo fare promesse senza sentire Washington.

A proposito di Alleanza atlantica, ieri il segretario generale Jens Stoltenberg è entrato nel groviglio regionale invitando la Georgia ad accelerare la sua adesione al sistema difensivo occidentale: «Siamo concentrati sulla regione del Mar Nero, stiamo sviluppando le nostre capacità marittime, la difesa costiera della Georgia e stiamo conducendo visite di navi Nato nei porti georgiani. Nei nostri negoziati, sottolineiamo l’importanza strategica della regione del Mar Nero sia per la Georgia che per gli Stati della Nato e siamo pronti ad accoglierla nell’alleanza».

A BRUXELLES COME A MOSCA sono interessati a capire le reali intenzioni di Erdogan: vuole il presidente turco andare fino in fondo e mettere le mani su tutto il Nagorno-Karabakh per sfruttare al massimo la momentanea debolezza russa? Un dubbio assillante per il Cremlino che ieri ha invitato Ankara, attraverso il suo portavoce ufficiale Dmitry Peskov, a «non gettare benzina sul fuoco».

La Russia però resta cautissima e non vuol spezzare il tenue filo che ancora la lega alla Turchia: l’accordo di mutua assistenza militare è solo con l’Armenia e non con il Nagorno-Karabakh (repubblica dell’Artsakh) di cui non ha mai riconosciuto l’esistenza.

QUESTA È LA FOGLIA DI FICO dietro cui per ora si trincera. È un’ipotesi che però potrebbe dare la possibilità all’Armenia – secondo il direttore dell’Istituto di economia mondiale e relazioni internazionali di Mosca Alexey Arbatov – di sfilarsi dall’alleanza: «Erevan ha già avvertito che potrebbe riconoscere l’indipendenza del Karabakh e concludere un’alleanza con la repubblica autoproclamata complicando ancora di più la situazione. In un quadro simile l’Armenia potrebbe anche ritirarsi dal Trattato di sicurezza collettiva di cui è a capo la Russia e proclamarsi neutrale. Una variante che certo non può piacere a Putin», sostiene lo studioso russo.