Sul delirio, innescato dalla pretesa Nato di corteggiare l’Ucraina e sferrare un colpo decisivo agli interessi della Russia, l’Ue e gli Stati uniti hanno innervato nei giorni scorsi le loro sanzioni. Hanno colpito in modo duro, a ripetizione. E Mosca alla fine ha reagito bloccando l’impor-export alimentare. E così le guerre sono due: una militare, sul campo, l’altra economica, su mercati, budget, commercio. È presumibile che a farne le spese saranno le nazioni, come la Polonia, più prone, più gregarie allo scontro in atto da mesi (le proteste a Majdan sono tracimate in un vero e proprio colpo di Stato, secondo Mosca, solo nel dicembre scorso e la destra a Majdan ieri era di nuovo in piazza contro il nuovo potere) sono state incapaci di assumere una posizione di politica estera in grado di creare almeno un elemento di contraddizione. L’Italia, ad esempio. Ieri la Federalimentari ha specificato che la risposta russa alle sanzioni Ue (minacciato di chiusura anche il blocco aereo del canale siberiano, che aumenterebbe di svariati miliardi i costi delle compagnie aeree europee e americane) rappresenterebbe «un danno da oltre 100 milioni di euro all’anno per il settore agroalimentare italiano. Ed a rischio sono tutte le nostre esportazioni agroalimentari verso la Russia che valgono circa 600 milioni di euro». Più cauta la Coldiretti: «Le esportazioni di prodotti agroalimentari italiani in Russia nonostante le tensioni sono aumentate ancora dell’uno per cento nel primo quadrimestre del 2014 dopo che lo scorso anno avevano raggiunto la cifra record di 706 milioni di euro messi ora a rischio dall’annuncio di sanzioni».

Guerra economica e militare, talvolta dimenticata e fuori dai radar dell’informazione per molti mesi: lo scontro in atto in Ucraina – e non solo – è tornato di attualità, a causa della contrapposizione sempre più netta tra Russia da una parte e Stati uniti ed Europa dall’altra. Gli uni accusano gli altri, un paese punisce l’altro, in una girandola militare a rischio di incidenti fatali. Nei giorni scorsi la Nato ha accusato Mosca di aver «mosso» 20mila truppe al confine ucraino e ieri una nave americana è entrata nel Mar Nero. Non una qualunque, bensì la «missile cruiser» Vella Gulf. Per la Russia è «una provocazione», per Washington la nave ha lo scopo di «assicurare la pace». Come in ogni problematica internazionale, ci sono dei responsabili, benché la narrazione – come spesso accade – sfumi i punti di origine delle crisi. E per l’attuale crisi ucraina, i principali responsabili sono di rango, due premi Nobel: il presidente americano Obama e l’Unione europea. Sullo sfondo, l’Ucraina, un paese su cui il mondo occidentale ha deciso di intervenire, lasciando violare la sua sovranità, sostenendo un movimento di piazza capitanato dai neonazisti (è di ieri la notizia delle dimissioni di Parubiy, fondatore del partito d’estrema destra Svoboda e a capo del Consiglio di sicurezza nazionale.

«Continuerò a sostenere i volontari al fronte», ha specificato, intendendo i degni camerati di scorribande di Settore Destro). L’accolita democratica ha provocato la fuga di un presidente eletto, Yanukovich (mediocre e corrotto, ma regolarmente eletto), ponendo a capo del governo un uomo americano (il premier dimissionario Yatseniuk). Dopo il ribaltamento istituzionale, si è lasciata andare la Crimea alla Russia, si è urlato all’invasione, al sostegno russo alle regioni ribelli, si è lasciato combattere, morire centinaia di civili, non facendosi mancare l’invio di funzionari della Cia, compreso il capo Brennan e altri strabilianti strateghi di Washington (Victoria Nuland su tutti). Non si è lesinato sulle spaccature interne al fronte dei «buoni» (una narrazione tossica ha sempre bisogno di evitare le sfumature): un giorno la Germania era contro le sanzioni, il giorno dopo era a favore, mentre Francia (e pure Berlino) calcolavano le perdite dei propri contratti milionari con Mosca, riguardo alla vendita di armamenti.

Poi Putin ha tirato fuori dal suo cilindro lo storico accordo sul gas con la Cina, a testimonianza di come tutto sia molto più intricato e connesso di quanto si pensi, di come il gioco sia su scala mondiale e tenda a riproporre una contrapposizione tra due mondi che sembrano capirsi solo quando si tratta di mercanteggiare armi. Diplomaticamente e strategicamente, quello di Putin è stato un colpo che ha cambiato il volto a tutto: la guerra si è fatta più intensa. Intanto Kiev, con il nuovo presidente Poroshenko, eletto da metà degli elettori di metà del paese, ha capito che Mosca aveva cominciato a disinteressarsi dei ribelli; ha nominato un nuovo ministro della Difesa e ha aumentato lo sforzo bellico (e il governo di Yatseniuk, è riuscito a imporre una tassa per finanziare la guerra). Ora Donetsk è sotto assedio, è stato colpito anche l’ospedale (ci sarebbe solo una vittima), Lugansk ha metà degli abitanti in fuga. Sulle tv satellitari russe, cinesi e su Al Jazeera (per l’Europa la guerra non esiste) le immagini non sono tanto differenti da quelle del Medio Oriente. Persone in fuga, in lacrime, senza casa, senza ospedali. La vita rivoluzionata da un conflitto, di cui si sono perse le tracce. ma dietro c’è l’allargamento strategico della Nato a est. E ora un’emergenza umanitaria dentro l’Europa.