«Hanno pagato zero, quindi gli forniremo zero». Si è espresso in modo «finale» il portavoce del colosso russo Gazprom, che via Twitter ha annunciato il mancato pagamento del debito da parte di Kiev, confermando quindi l’annullamento della fornitura di gas. A ballare erano 4,5 miliardi di euro e rumors diffusi via internet in giornata, da agenzie e quotidiani on line, raccontano che Gazprom avrebbe rifiutato l’offerta di Kiev fatta in extremis, 1 miliardo subito, il resto chissà quando.

Sia Mosca, sia Kiev si sono rivolte ai giudici internazionali della Corte di Stoccolma, per sedare una questione che rischia di mettere in difficoltà anche l’Europa, sebbene Gazprom abbia specificato che la società energetica statale ucraina Naftogaz, incaricata di fornire il gas russo all’Europa, dovrebbe rispettare i termini dell’accordo e che «al massimo» cambieranno i percorsi. Si tratterebbe di deviare, dalla Bielorussia ad esempio, il 50 percento della fornitura russa all’Europa. «Al massimo» è espressione oltre modo rilassata, che rischia di offuscare la reale complessità di un’operazione del genere, ma al momento questa può ritenersi una sorta di «apertura» russa ai pericolosi punti interrogativi che affollano le menti dei politici europei.

E che la situazione stia trascendendo in un confronto sempre più duro – e basso – lo testimonia quanto accaduto nei giorni scorsi tra Kiev e Mosca, ovvero una diatriba diplomatica a suon di insulti. Il ministro degli esteri di Kiev Deshchystia, sceso in strada durante una commemorazione per i 49 ucraini morti dopo l’abbattimento dell’aereo militare da parte dei ribelli filorussi, ha insultato Mosca e specialmente Putin, definendolo «testa di cazzo». «L’ho fatto per placare la gente», si è giustificato. La risposta di Lavrov, ministro degli esteri di Mosca, non si è fatta attendere: «Per noi, Deshchystia non esiste più».

Metodi spicci, che rispecchiano la brutalità di un confronto che non esauritosi nelle polemiche, mantiene inalterata la situazione drammatica a est, contraddistinta da combattimenti e battaglie, reali, vere. Si tratta di schermaglie politiche e questioni economiche che portano a un livello sempre più alto lo scontro. La trattativa per il gas del resto, non è semplice e il problema non è né economico, né di prezzo, ma politico.

La questione energetica ripercuote su altri campi lo scontro nato tra Kiev e Mosca a seguito della Majdan e dello stravolgimento politico in Ucraina, il cui primo passo più evidente è stato il riavvicinamento di Kiev alla Ue e alla Nato, dopo che proprio il «no» all’accordo di associazione con la Ue, aveva determinato la caduta politica di Yanukovich, a seguito della rivolta di piazza. La mossa di Mosca non può essere considerata come elemento a parte, rispetto alla tensione creatasi tra Mosca e Bruxelles, all’interno di una gestione fallimentare della crisi ucraina da parte di una Unione europea completamente priva di una politica estera comune, divisa perfino sulle sanzioni alla Russia a causa dei tanti rapporti economici dei paesi Ue con Mosca.

La situazione dunque, attualmente, è in una fase di stallo; nessuno sa quando sarà possibile un nuovo incontro a seguito dei precedenti, strozzati dall’ultimatum terminato con il niet russo, nella prima mattina di ieri.

«A causa della posizione poco costruttiva del governo ucraino, oggi abbiamo introdotto un sistema di fornitura a seguito di un pagamento anticipato» ha detto Alexei Miller, amministratore delegato della Gazprom, accusando l’Ucraina di volere un pezzo «ultra low», eccessivamente basso e ritenuto fuori dal mercato.
Yatseniuk, il premier di Kiev, ha accusato la Russia di voler distruggere l’Ucraina, ma per quanto i russi possano essere intenzionati a far pagare al Paese il cambio di «alleanza» e il «colpo di Stato», se Kiev non paga c’è poco da lamentarsi. Venendo meno un rapporto «privilegiato» è naturale che la Russia finisca per trattare l’Ucraina come un partner qualsiasi, se non ostile, specie dopo aver chiuso lo storico accordo trentennale con Pechino, che nonostante il tentativo minimizzatore di alcuni commentatori, ha segnato un momento storico, di cui si cominciano a vedere le prime conseguenze.

Nel frattempo la Russia ha chiesto consultazioni in vista di una nuova riunione urgente del Consiglio di Sicurezza Onu sull’Ucraina. Perché la guerra continua, per quanto Poroshenko, il neo presidente ucraino, si sia detto possibilista su un piano di pace, solo nel momento in cui i filorussi dovessero abbandonare le armi. Anche in questo caso si tratta di deboli speranze, perché le intenzioni, da una parte e dall’altra, non sembrano favorire alcun punto di incontro diplomatico. Ieri il ministero della Difesa ucraino ha comunicato che «le forze armate di Kiev hanno ucciso circa 50 miliziani separatisti in un raid aereo tra le cittadine di Kramatorsk e Druzhkivka, nella regione di Donetsk. Altri 150 filorussi sarebbero rimasti feriti».