«Difenderemo ogni centimetro della Nato, il ritiro russo non è verificato, ci sono ancora possibilità di attacco ma siamo pronti a tenere aperto un canale diplomatico». Nella serata di ieri Biden è intervenuto sulla questione ucraina, oscillando tra posizioni dure contro Mosca e aperture, ribadendo di avere già pronte le sanzioni in caso di attacco da parte di Putin. La giornata era iniziata proprio con segnali di distensioni.

«A Mosca, accanto al capo del Cremlino, Vladimir Putin, il cancelliere tedesco, Olaf Scholz, ha portato avanti ieri l’iniziativa diplomatica intrapresa assieme al collega francese, Emanuel Macron, e passata anche per il doppio vertice a Kiev con il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky. L’iniziativa si muove su due diversi livelli.

IL PRIMO È PRATICO e ha a che fare con le tensioni militari nel Donbass. «Per la mia generazione la guerra in Europa è inimmaginabile e dobbiamo assicurarci che rimanga tale», ha ripetuto Scholz di fronte ai giornalisti. Ai russi lui e Macron hanno chiesto il ritiro dell’esercito dal confine con l’Ucraina, e i russi nel pomeriggio hanno fatto sapere di avere cominciato a ridurre il numero degli uomini.

Secondo il ministro degli Esteri, Sergei Lavrov, «si tratta di operazioni pianificate che non dipendono dall’isteria occidentale». Al di là della retorica, sarebbe il primo risultato concreto di questa trattativa. Sul punto esistono due conferme indirette. Una è nel viaggio che vede il ministro della Difesa, Sergei Shoigu, impegnato in queste ore in Siria, e quindi lontano da Mosca. L’altra è nelle parole del segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg: «Occorre ritirare i mezzi, oltre agli uomini». Per questo in serata Macron ha parlato di «segnale incoraggiante», invitando, però, alla prudenza, «vista la grande mole di truppe alla frontiera».

SUL LIVELLO NEGOZIALE «pratico», ha un peso significativo la possibilità che la Russia riconosca ufficialmente le repubbliche ribelli di Donetsk e di Lugansk. La Duma ha approvato ieri a larga maggioranza la proposta del Partito comunista «per proteggere i cittadini del Donbass da minacce esterne», come ha detto il presidente della Camera, Vyacheslav Volodin.

IL DOCUMENTO È PASSATO al Cremlino. Un eventuale via libera, come si capisce, alzerebbe notevolmente le probabilità di scontro militare. Non a caso Scholz ha paragonato l’ipotesi a una «catastrofe». Quel che accade in Donbass «è genocidio», è l’accusa di Putin, secondo il quale, tuttavia, la questione dello status delle due repubbliche deve essere risolta attraverso gli accordi di Minsk.

Un round di colloqui è fallito la settimana scorsa. Le resistenze a Kiev sono forti, in particolare negli ambienti nazionalisti. Da Zelensky, lunedì, Scholz ha preteso nuovi impegni per portarli a compimento.

Da qui si passa al secondo livello dell’iniziativa di Scholz e Macron, che riguarda l’architettura dei rapporti fra i governi europei e il Cremlino. «Siamo pronti a lavorare con l’occidente», ha detto Putin, «ma temiamo che i colloqui sulla sicurezza in Europa possano andare troppo per le lunghe: non permetteremo che in questo tempo la sua situazione peggiori».

SECONDO SCHOLZ «la sicurezza non può essere non può essere costruita contro la Russia, ma in cooperazione con essa». Ventiquattro ore prima, con Zelensky, aveva apertamente ridimensionato i progetti atlantici del paese, progetti che sono stati inseriti anche nella Costituzione. Su questo proposito, fondamentale per la Russia, Putin è tornato ieri, senza ottenere, però, ulteriori rassicurazioni. «Non accetteremo mai l’allargamento della Nato fino ai nostri confini», ha detto in conferenza stampa: «Da trent’anni ci dicono che l’Alleanza non si allargherà verso la Russia, eppure sta accadendo. Ci dicono che l’Ucraina non è ancora pronta. Che possa avvenire dopodomani, anziché domani, per noi non c’è alcuna differenza. Vogliamo risolvere questa questione adesso». Scholz ha escluso, però, una «moratoria» esplicita sull’ingresso dell’Ucraina.

LA PRESSIONE MILITARE sul paese gradualmente si riduce. Ma le conseguenze di questa crisi rischiano di essere permanenti. Dopo settimane di rapporti su una imminente invasione russa smentiti uno dopo l’altro dai fatti, gli Usa hanno deciso di spostare la loro ambasciata da Kiev a Lviv, nella parte ovest del paese.
L’edificio rimasto nella capitale è stato reso inutilizzabile secondo lo stesso protocollo seguito lo scorso agosto, al momento di lasciare Kabul. Non è un buon segno per Zelensky, che ieri ha criticato la scelta, e ha anche usato toni ironici per commentare le ultime stime dell’intelligence americane sull’attacco russo, previsto fra ieri e quest’oggi: «Ci hanno detto che il 16 febbraio avremmo subito un attacco: noi celebreremo un giorno di unità nazionale», ha detto in un messaggio diffuso sui social network. Zelensky è stato anche costretto a richiamare in patria i parlamentari, sono numerosi, che negli ultimi giorni hanno abbandonato l’Ucraina nel timore di una guerra. Con loro se ne sono andati imprenditori e industriali. Il ministero della Difesa e due grandi banche hanno denunciato ieri attacchi informatici.