Antonio Guterres si augura che i colloqui previsti domani ad Astana siano un passo importante per il successo degli incontri che il governo siriano e le opposizioni avranno a Ginevra l’8 febbraio. Il nuovo segretario generale dell’Onu non ha ancora compreso che i giochi veri sulla Siria non si fanno più al Palazzo di Vetro e in Occidente. Se Mosca e Ankara, e in seconda battuta Tehran, hanno organizzato i negoziati in Kazakhstan è proprio per segnalare che è ad Est e non più a Ovest del mondo che sarà trovata la soluzione alla guerra civile siriana. Non è chiaro peraltro se Donald Trump invierà all’ultimo istante un suo rappresentante. Gli incontri di Astana si aprono con una situazione in Siria ben diversa da quella in cui si svolsero gli ultimi colloqui all’Onu. L’opposizione e le sue milizie hanno subito una sconfitta devastante ad Aleppo Est, di cui il mese scorso l’esercito siriano ha ripreso il controllo. Uno sviluppo sul terreno che ha spinto la Turchia a stringere la cooperazione con la Russia alleata di ferro del presidente siriano Bashar Assad e a fare i conti con la realtà.

Il sogno di prendere Damasco, cacciare il «regime alawita alleato dell’Iran sciita» e di imporre un regime islamista sunnita sotto l’ala di Ankara (e di Riyadh e Doha) è svanito. Appena qualche ora fa Mosca, firmando un accordo con la Siria, si è assicurata per altri 49 anni l’uso della base navale di Tartus e di quella aerea di Hmeimim e, più di tutto, ha messo in chiaro che la Siria con Assad al potere è la soluzione alla quale punta per questa parte di Medio Oriente. Così Ankara, sponsor per anni di jihadisti e “ribelli” e che invocava per la Siria una futuro «senza più Assad», ora fa marcia indietro. Anche se la colpa della guerra è «di Assad», ha detto l’altro giorno il vicepremier Mehmet Simsek, la Turchia deve accettare che «i fatti sul terreno sono cambiati drasticamente» e che «non può più insistere su un accordo senza Assad». In cambio Ankara ha ottenuto l’esclusione dai colloqui di Astana di rappresentanti del Rojava, in modo da non legittimare le aspirazioni politiche e territoriali dei kurdi, in Siria come in Turchia.

Il governo siriano in Kazakhstan arriva da una posizione di forza, come mai era accaduto dal 2011, grazie proprio alla riconquista di Aleppo. Giovedì, in una intervista a una tv giapponese, Assad ha spiegato qual’è il mandato affidato al suo capodelegazione, Bashar al Jaafari. Il presidente siriano ha detto che sarà soltanto il popolo siriano, attraverso le elezioni, a decidere se resterà capo dello stato per un nuovo mandato. Per Assad i colloqui perciò dovranno avere come priorità la resa e l’amnistia per gli oppositori armati e la difesa dell’integrità territoriale della Siria. Obiettivi ben diversi da quelli dei delegati dei gruppi armati dell’opposizione – guidati da Mohammed Alloush, della formazione islamista radicale “Jaish al Islam” sponsorizzata dall’Arabia saudita – che puntano a consolidare il cessate il fuoco, proclamato da Russia e Ankara a fine dicembre, a congelare l’offensiva militare governativa per evitare la perdita delle altre porzioni di territorio che ancora controllano. L’opposizione però è debole e non solo militarmente. Il braccio politico – l’Alto Comitato per i Negoziati, partorito da Riyadh – ha inviato ad Astana soltanto nove “consulenti legali”. Sarà assente inoltre un gruppo armato chiave, Ahrar al Sham, stretto alleato dei qaedisti di An Nusra. Sui colloqui graverà l’ombra dello Stato Islamico, dato in ritirata su tutti i fronti e che invece in Siria mantiene il controllo di ampie porzioni di territorio.