L’ultima trovata di Putin per far infuriare la Turchia è aprire all’accerrimo nemico interno del presidente Erdogan: domani a Mosca il ministro degli Esteri russo Lavrov accoglierà Selahattin Demirtas, leader del Partito Democratico del Popolo (Hdp) con cui discuterà delle tensioni tra i due paesi. Quel Demirtas che alle elezioni di giugno esplose con un inatteso 13% destabilizzando l’uomo forte Erdogan e che da mesi è target del governo che lo accusa di fare da portavoce al Pkk.

Domenica Demirtas ha annunciato che, durante la visita, aprirà un ufficio a Mosca: servirà da riferimento per chiunque abbia in mano un passaporto turco, dopo le chiusure imposte da Mosca. «Decine, centinaia, migliaia di turchi fanno affari in Russia, studiano o lavorano lì. Vogliamo usare il nostro potere per aiutarli a risolvere questi problemi», ha detto Demirtas.

Insomma, un ufficio che farà le veci di un consolato, sostituendosi ad un governo che a Mosca non è più il benvenuto. La mossa è l’ennesima provocazione al governo turco, impegnato da luglio a piegare con la violenza sia il movimento indipendentista kurdo Pkk che il partito di opposizione, di cui ha arrestato centinaia di sostenitori dietro la pretestuosa accusa di terrorismo. Da mesi le violenze scuotono il Kurdistan turco.

Le ultime due settimane hanno visto il dispiegamento a sud-est di 10mila soldati turchi e l’imposizione di violenti coprifuoco. Ai 120 combattenti del Pkk uccisi, secondo le autorità, negli ultimi 5 giorni, si aggiunge la morte di 6 civili tra cui 3 donne e un bambino di 11 anni tra Cizre, Silopi e Nusaybin. Due i soldati turchi morti ieri in un attacco dinamitardo nella provincia di Bitlis.

A rendere ancora più simbolica la visita moscovita è la cancellazione dell’incontro tra Putin e Erdogan dopo l’abbattimento del jet russo. Erdogan no, ma Demirtas sì. Dopotutto Putin è stato chiaro: i rapporti non saranno riallacciati fino a quando il leader dell’Akp resterà al potere.

Ieri la guerra fredda turco-russa ha toccato un nuovo picco dopo l’analisi della scatola nera del Su-24 abbattuto da un F16 turco il 24 novembre. Venerdì le speranze di Mosca di dimostrare la propria buona fede si erano affievolite a causa dei danni riportati dalla scatola nera. Danni che – ha detto ieri l’esercito – non permettono di recuperarne la memoria: la scatola nera è illeggibile, 13 dei 16 chip sono distrutti. Mosca non si arrende: si proverà a decifrare le informazioni con ulteriori analisi.

Nel frattempo stringe la morsa sull’avversario: ieri il Ministero delle Costruzioni ha annunciato la riduzione delle attività di compagnie turche a partire dall’inizio del 2016. «Nessuno bloccherà i grandi progetti in cui compagnie turche sono già impegnate – ha detto il ministro Men in tv – Ma ne verrà minimizzato l’ingresso in nuovi progetti». Saranno sostituite da compagnie russe, che andranno a coprire un buon 20% di progetti di costruzione finora affidati a società turche.

Alle sanzioni che Mosca ha imposto alla Turchia fanno da contraltare quelle europee contro la Russia: ieri l’Unione Europea ha prolungato di altri 6 mesi, fino al 31 luglio 2016, le sanzioni economiche introdotte durante la crisi ucraina. La decisione, dicono da Bruxelles, è stata presa perché gli accordi di pace di Minsk non sono stati ancora del tutto implementati dalle autorità di Mosca. Una politica quanto meno schizofrenica: il paese con cui si presentano risoluzioni congiunte quando si parla di Siria, è lo stesso contro il quale si schierano navi da guerra Nato in Turchia e contro il quale si prolungano sanzioni per l’Ucraina.