L’ammissione del doping sistematico, senza il coinvolgimento dei vertici dello Stato russo. Una cospirazione istituzionale confessata assieme all’accusa alle potenze occidentali senza fedina morale pulita e che sarebbero state più volte coperte dal Comitato olimpico internazionale.

LA SAGA SUL PRESUNTO SISTEMA doping si arricchisce di un nuovo capitolo. Il tutto in poche ore. Ieri mattina la sveglia è arrivata con l’intervista pubblicata dal quotidiano della Grande Mela al capo ad interim della Rusada, agenzia antidoping russa, Anna Antselovich, che pareva sciogliere la matassa sullo scandalo delle provette truccate che avvolge il Cremlino dallo scorso luglio (ma due mesi prima il capo dell’antidoping russa ai tempi di Sochi 2014, Grigory Rodchenkov, svelava un programma doping di Mosca a base di coktail di farmaci su volere del ministero dello sport per dominare ai Giochi invernali sul Mar Nero), dalla pubblicazione della prima parte del rapporto dell’agenzia mondiale antidoping, la Wada, sulle sostanze illecite utilizzate per portare atleti russi sul podio nelle competizioni internazionali. E poi proseguita lo scorso 9 dicembre con la relazione per conto della Wada dell’avvocato Richard McLaren, mille atleti coinvolti in 30 discipline, provette truccate dal 2011 al 2015, in mezzo le Olimpiadi di Londra e soprattutto quelle di casa, a Sochi, due anni fa.

C’ERA IL SISTEMA per truccare le provette, ha spiegato il capo dell’antidoping russa al NYTimes, una «cospirazione istituzionale» ma era opera dei funzionari russi, non del potere politico, non del ministero dello Sport. Insomma, non di Vladimir Putin. Un colpo di scena inatteso, che si è piazzato sulle homepage di tutto il mondo. Nonostante la nota sempre dell’agenzia antidoping della Federazione Russa, riportata dall’agenzia di stampa russa Tass, sul fraintendimento di alcune parti dell’intervista al NYTimes. Dunque, complotto costituzionale, che escluderebbe di fatto ogni responsabilità dai vertici del Cremlino.

CASO CHIUSO? NO, siamo solo alle battute iniziali. Secondo la ricostruzione del New York Times, alcuni funzionari del Cremlino non hanno negato il sistema, non hanno contestato i fatti, ovvero l’uso sistematico del doping per vincere medaglie ai Giochi olimpici. E i primi passi da parte russa verso la confessione del sistema analitico per truccare le analisi delle urine degli atleti sarebbe avvenuto per ammorbidire le parti, scaricare le colpe ai funzionari – alleggerendo la posizione dell’esecutivo russo – del passato, proiettarsi nel futuro.

Che vorrebbe dire per la Russia tornare a ospitare grandi eventi sportivi, ottenendo l’idoneità a eseguire test antidoping, scacciare le nubi a meno di un anno e mezzo dal calcio d’avvio dei Mondiali di calcio. Insomma, una patente di verginità legata anche alla tutela degli sponsor che investono nello sport russo e che hanno puntato forte sui Mondiali del pallone, l’evento tanto voluto da Vladimir Putin e portato in dote dall’ex numero uno della Fifa, Joseph Blatter. Ma è altrettanto importante nell’inquadramento della vicenda – con lo sport ancora una volta pedina di una guerra di posizione tra la Russia, l’Unione Europea, gli Stati sui tavoli più caldi dell’attualità politico-economica (Siria, Guerra Fredda 2.0 tra russi e statunitensi, le sanzioni economiche inflitte ai russi da parte dell’Europa) – è la posizione riportata dal NYTimes di Vitaly Smirnov, l’uomo voluto da Putin per rimettere in sesto la macchina antidoping.

Secondo Smirnov, ci sarebbero file medici, intercettati dagli stessi hacker russi in azione tra le maglie informatiche del partito democratico americano, che proverebbero l’uso di sostanze illecite di atleti occidentali acconsentito per legittimi motivi terapeutici. Un trattamento che sarebbe invece stato negato agli atleti russi.

UN IMPLICITO RIMANDO all’attività degli organismi internazionali dominati dai poteri forti, in particolare dal Comitato olimpico internazionale che si è schierato contro la Russia, sostenuto dagli americani ma non irreprensibile, anzi finito sotto indagine di polizia e magistratura francese su episodi di corruzione per l’assegnazione dei Giochi olimpici 2016 a Rio e del 2020 a Tokyo.