Nel 1831 riapparve a Pompei, nell’esedra della Casa del Fauno, un pavimento di tessere policrome dall’inedita iconografia. L’eruzione del Vesuvio che nel 79 d.C. aveva interrotto la vita di un’intera città preservò invece l’epico scontro tra due magnificenti sovrani, tramandato dalle febbrili ma disciplinate mani di un artista egiziano, che copiò forse un quadro già famoso.
Quando il pannello musivo – lungo quasi sei metri e largo poco più di tre – venne integralmente riportato alla luce, fu chiaro che a sinistra della scena ondeggiava, in sella al fido Bucefalo, la chioma scomposta del grande Alessandro, principe macedone dalla tempra divina e dalle mille conquiste. Dall’altro lato, una coltre di lapillo sempre più sottile spalancava lo sguardo degli scopritori sulla fragile superbia dell’ultimo re di Persia, Dario III Codomanno. Al centro dell’opera cavalli saettanti, corpi infilzati da lance dalla lunghissima ombra e un albero nero che squarcia l’opaco orizzonte.

QUESTO CELEBRE MOSAICO – esposto dal 1845 al Museo archeologico nazionale di Napoli (all’epoca Real museo borbonico), dove era arrivato l’anno precedente su un carro trainato da sedici buoi – è ora oggetto di un programma di restauri da realizzarsi con la supervisione dell’Istituto centrale per il restauro (Icr). Alle indagini diagnostiche effettuate nel 2015 da Iperion Ch.it e dal Cnr-Isti di Pisa, si è aggiunta dal 2018 la collaborazione con l’Università del Molise e il Center for Research on Archaeometry and Conservation Science (Cracs) dell’Università di Napoli Federico II.

LE CRITICITÀ CONSERVATIVE del reperto – collocato al suolo dall’architetto Pietro Bianchi e, dal 1916, sistemato «a parete» nella sala dei mosaici voluta da Vittorio Spinazzola – consistono, a causa del peso stimato in sette tonnellate e della posizione verticale, in distacchi di tessere, lesioni e microfratture, rigonfiamenti e abbassamenti della superficie. Inizialmente, gli interventi di restauro si svolgeranno in loco mediante l’allestimento di un cantiere trasparente e saranno finalizzati alla messa in sicurezza dell’opera prima del dislocamento. La seconda fase interesserà il supporto del manufatto, aggredito dall’ossidazione degli elementi in ferro pertinenti all’intelaiatura.
I restauratori potranno avvalersi di un innovativo strumento digitale sviluppato da Tim con il contributo di Ntt Data. Si tratta di un visore intelligente che, una volta indossato, consentirà di proiettare, tramite un’applicazione, la parte frontale del mosaico in scala 1:1 su una parete o su un telo e di associare alla proiezione i dati raccolti durante le analisi diagnostiche. Questa metodologia «chirurgica» garantirà manovre di massima precisione e nello stesso tempo darà al pubblico l’opportunità di seguire in diretta le procedure di restauro.
In attesa del completamento dei lavori, previsto tra sette mesi, la casa editrice indipendente 5 Continents presenta il volume Mosaico di Alessandro (pp. 116, euro 40), secondo esemplare della serie «Tesori nascosti» debuttata con la Tazza Farnese. Il libro, la cui prefazione è firmata dal direttore del Mann Paolo Giulierini, contiene novantotto illustrazioni a colori ricavate dagli scatti di Luigi Spina, fotografo campano (classe 1966) noto per la sua ostinata e sensibile ricerca della bellezza insita nelle vestigia del passato.

LE IMMAGINI INVITANO a un vero e proprio viaggio «dentro» il mosaico per apprezzare da vicino le finezze dell’opus vermiculatum, tecnica che attraverso l’utilizzo di tessere minute generava linee sinuose e virtuosismi cromatici degni di una pittura. L’obiettivo di Spina restringe e allarga il campo su un milione e mezzo di tessere, viste nell’incompiutezza del disegno o nelle composite trame che animano i personaggi del grande mosaico. Così che persino i dettagli – la corazza di Alessandro, la mano inanellata del Re dei Re, il muso bardato di un cavallo – si rivelano dei piccoli capolavori. Alla pubblicazione hanno partecipato anche Valeria Sampaolo e Fausto Zevi, i quali – per la presenza dell’«albero secco», particolare ricordato in testi arabi e occidentali risalenti alla tradizione medievale, tra cui Il Milione di Marco Polo – attribuiscono la scena rappresentata nel mosaico alla Battaglia di Isso del 333 a.C.
I due studiosi inquadrano inoltre l’opera nell’architettura figurativa della Casa del Fauno, dimora del II secolo a.C. in cui un dominus sapiente ed edonista aveva voluto esaltare l’impresa del condottiero macedone non solo dal punto di vista militare ma anche per la diffusione di quel pensiero ellenistico che seppe riunire sotto un’unica lingua etnie diverse, fondendo Oriente e Occidente in una luminosa costellazione di culture.