«La cultura dell’Africa intera è in lutto», ha twittato con commozione Alpha Condé, presidente della Guinea. Mory Kanté se n’è andato – a 70 anni – in un ospedale di Conakry. Il figlio Balla ha raccontato che soffriva di una malattia cronica e prima della pandemia era costretto a frequenti viaggi a Parigi, città tra l’altro a lui molto cara, dove aveva trovato una struttura che riusciva a tenere a bada il suo male. Da un paio di mesi, frontiere chiuse e tutti a casa, non era più riuscito a curarsi per bene. Nel 1966, quando aveva quindici anni, la famiglia che lo aveva instradato alle tradizioni Bambara, lo spedì a Bamako, in Mali a studiare e anche a suonare.

LÌ ENTRÒ in contatto con una realtà diversa, un fermento nuovo che lo vide subito fronteggiare personaggi come Salif Keïta che poi però divenne anche suo rivale. Risalgono agli anni Settanta importanti incisioni nella Rail Band che tuttora rappresentano il meglio di quella scena viva e piena di gioia, divertimento, sonorità tradizionali ma anche propulsione verso una ricerca che andava a finire nelle trame più fitte della soul music.
Il sound afro latino e le sonorità jazz, dettate soprattutto dalla sezione dei fiati, con loro hanno perfettamente coniugato quello stile che partiva dal lessico Bambara e arrivava molto oltre. Concerti che in quegli anni riempivano interi stadi, tutti erano pazzi di quelle sonorità. Mory Kanté si appassionò così tanto a questo nuovo lessico che iniziò ad approfondire lo studio della kora da autodidatta, poi ne approfondì la versione elettrificata quando si innamorò follemente della chitarra elettrica. In Francia, anni dopo, prima di elaborare la sua trovata più commerciale, Yé ké Yé ké (1988), considerata uno dei capisaldi della cultura africana nel mondo al pari di Soul Makossa di Manu Dibango nel decennio precedente, riuscì a elaborare questa miscela intensa, tanto che iniziarono a chiamarlo «le griot életrique». In realtà Ye ké Ye ké lo aveva già inciso qualche anno prima, ma in un arrangiamento molto meno pop, però poi lo iniziò a guardare da lontano, portandolo sempre più verso quella cultura, anche un po’ tendenza, che vedeva gli occidentali molto vicini alle sonorità del Mali e delle terre limitrofe.

NEL CORSO DI UN’INTERVISTA, rilasciata nel 2009 Kanté spiegava il successo perdurante della canzone: «Sia che tu suoni la kora, il balafon o qualsiasi altro strumento, devi tener ben presente una cosa. Devi sempre provare a creare qualcosa che la gente possa memorizzare subito. E più il tuo lavoro è buono, più – puoi starne certo – la gente non lo dimenticherà».
Nel 1988 Billboard parlò di lui come di un innovatore dell’Africa tutta; nel 1990 rappresentò la Francia a New York durante un concerto «sold out» tenuto al Central Park.

ERA IL PIÙ GIOVANE di 38 fratelli – il papà era famoso in patria per la sua musica ma anche per aver vissuto 109 anni – aveva studiato nella scuola francese di Kissidougou, dove iniziò a praticare il balafon. L’esordio discografico solista risale al 1981, fu proprio Gerard Chess a produrre per la Ebony Courougnegne. Forse le cose migliori furono quelle realizzate proprio con la Rail Band, soprattutto quando spiazzò tutti nel 1973 prendendo il posto di Salif Keïta al microfono. La title track di Tatebola del 1996 fu scelta da Canal France International come sigla iniziale del Mondiale di calcio; due anni dopo arrivò la chiamata di Leonardo Di Caprio per le musiche di The Beach. In mezzo la solidarietà per i connazionali, l’impegno costante per la sua terra e le popolazioni meno ricche. Nel 2001 diventa anche ambasciatore per la Fao. L’ultimo dei tredici album incisi da solista è uscito nel 2017.
Nel 2014 ha registrato Africa Stop Ebola, un brano cantato insieme ad artisti come Amadou & Mariam, Salif Keïta e Oumou Sangaré che ha venduto oltre 250 mila copie, denaro donato a Medici senza frontiere.

TANTE LE REAZIONI alla sua scomparsa, come quella di Youssou N’Dou: «Ho appena appreso con sgomento della chiamata a Dio del mio fratello maggiore e punto di riferimento, maestro Mory Kanté. Oggi sento un grande vuoto, con la dipartita di questo baobab della cultura africana». Parole riportate dal cantante e politico senegalese sui social network: «Riposa in pace. Dal tuo afflitto fratello Youssou Ndour», conclude. Una carriera ricca di soddisfazioni e come – sottolinea ancora il presidente della Guinea Alpha Condé, «un percorso di vita davvero entusiasmante».