Non ha fatto in tempo per il final cut Claudio Caligari, è scomparso dopo aver terminato il montaggio del suo film Non essere cattivo, prodotto da Valerio Mastandrea che aveva scritto a Scorsese perché lo aiutasse a portare a termine il progetto («Caro Martino…» inizia così la famosa missiva, «Ti scrivo per una ragione semplice. Tu ami profondamente il Cinema. In Italia c’è un Regista che ama il Cinema quanto te. Forse anche più di te»).

I frequentatori dei cineclub degli anni settanta hanno il nome di Caligari segnato a grandi lettere tra quei pochi registi italiani che sarebbero riusciti a raccontare la grande ondata di annientamento orchestrata che si sarebbe abbattuta su più di una generazione, l’ingresso dell’eroina per smantellare i movimenti politici. Questo è stato uno dei tanti motivi per cui gli è stato reso impossibile continuare a girare con una certa regolarità, come ad altri della sua generazione, come Grifi, come Miscuglio, come negli anni successivi Nico D’Alessandria (tutti scomparsi per malattie «inguaribili», ma anche per un dolore costantemente sopportato).

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Niente cinema addomesticato il loro. Quattro o cinque film nel corso di una vita stanno a significare solo che la censura è stata assai attiva e possono aiutare a leggere in controluce i film indolori che invece sono stati accettati da produttori e reti tv. Il suo linguaggio forte e duro, fiancheggiatore delle classi che sarebbero diventate sempre più derelitte, come se ci fosse stato un passaggio di testimone, il proseguimento di un certo sguardo lanciato da Pasolini, ma in chiave nettamente militante a guardare dritto negli occhi, alla stessa altezza, i suoi protagonisti. Le sue borgate, la parte bassa del cinema, si direbbe, proprio come si intitolava il suo primo film proiettato al Filmstudio di Roma nel ’78 (La parte bassa), tra documentario e finzione, sui collettivi dei militanti milanesi, con interviste e la registrazione del concerto di Venditti che non si poté fare.

Raccontava Caligari: «Comincio a filmare il 27 e 28 novembre 1976 al convegno dei circoli del proletariato giovanile alla Statale con una delle prime telecamere amatoriali, quelle che registravano su nastri a bobine. Comunque la maggior parte di quello che filmo qui va perso, come pure il concerto di Venditti che si svolge più o meno nello stesso periodo e che viene interrotto a sprangate». Aveva girato con Daniele Segre Droga che fare e poi Lotte nel Belice, La follia della rivoluzione che, diceva era tale perché di improbabile successo in un paese a capitalismo avanzato, cosa che lo aveva tenuto lontano dalla lotta armata. Quando ormai alla fine degli anni settanta il mercato della droga aveva invaso l’Italia non certo casualmente, Caligari scrive la sceneggiatura di Amore tossico con Guido Blumir. Ed ecco che si riallaccia il filo sottile della censura, Blumir aveva scritto con Grifi Michele alla ricerca della felicità bloccato in Rai.

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Divenne un caso, opera prima a Venezia, tra un gruppo di ragazzi che hanno il loro tragico scenario nella Ostia dell’Idroscalo («abitiamo al mare e non ci veniamo mai»), e tutto si deve spendere per bucarsi, i soldi del gelato sono soldi buttati. «Il massiccio consumo di droga ha riproletarizzato i giovani delle borgate», diceva. Fu un caso, presentato come opera prima a Venezia. Quando ben quindici anni dopo, nel 1998, nella selezione della Settimana della Critica scegliemmo L’odore della notte fu come una folgorazione, un racconto che aveva a che fare con l’humour, l’uso rocambolesco del romanesco (lui, piemontese di Arona, classe 1948) l’intreccio ricco di colpi di scena (Little Tony in persona) di una banda in azione nei quartieri alti, vista attraverso le cronache della capitale, con interpreti che avrebbero fatto molta strada: Mastandrea e Giallini, Tirabassi. Fu come ritrovare la narrazione interrotta di una generazione dal codice segreto.
I funerali avranno luogo a Roma domani alle 10 nella Chiesa degli Artisti di Piazza del Popolo.