L’unica notizia certa, al momento, è l’arresto di una donna. Il documento della donna fermata riporterebbe il nome di Doan Thi Huong, nata il 31 maggio 1998 a Nam Dinh, in Vietnam. Secondo le prime informazioni diffuse dalla polizia malese, si sospetta che a uccidere Kim siano state due donne. Intanto, nella giornata di ieri, il corpo dell’uomo è stato sottoposto all’autopsia, ma Pyongyang avrebbe contestato la scelta, chiedendo l’immediata consegna della salma. Arrestata questa donna, rimangono in piedi tutti i dubbi del giorno prima, quello del misterioso omicidio all’aeroporto malese di Kuala Lumpur di Kim Jong-nam, fratello dell’attuale leader nord coreano Kim Jong-un, figlio del Caro Leader e della sua prima moglie, esiliato tra Macao, Cina e Singapore ormai dal 2001.

In questi giorni ci si interroga sul mandante, con i sospetti che sembrano tutti andare in direzione di Pyongyang, anche se non tutte le caselle sembrano potersi incastrare tra di loro. È sicuramente vero che Kim Jong-nam era molto vicino allo zio Jang Song-thaek, potente funzionario del regime coreano, ma caduto in disgrazia e giustiziato nel 2013.

Tutti gli uomini considerati vicini a lui sono stati «purgati». Allo stesso tempo appare solo un’ipotesi, probabilmente mai dimostrabile, quella secondo la quale la Cina avrebbe pensato a un regime change a Pyongyang, pensando a Kim Jong-nam come uomo nuovo in Corea del nord. Ipotesi possibile, dato che i rapporti tra Pechino e Pyongyang non possono certo definirsi idilliaci: ancora di recente la Cina ha protestato contro i test missilistici di Kim Jong-un e – soprattutto – nei cinque anni di regno il giovane leader del paese non ha mai espresso, almeno a quanto si sa, la volontà di incontrare i funzionari cinesi.

Un segnale di poca cooperazione che potrebbe però non essere sufficiente affinché Pechino si possa avventurare in un colpo di stato in Corea. Fosse vera questa ipotesi, Pyongyang avrebbe «sistemato» Kim per non avere eventuali problemi in futuro, dopo aver fiutato l’operazione cinese.

Intanto sono arrivate le reazioni anche da parte della Corea del Sud, che ha convocato un vertice di emergenza dell’esecutivo, al termine del quale il primo ministro e presidente facente funzioni, Hwang Kyo-ahn, ha definito l’omicidio «brutale e disumano», puntando il dito direttamente su Pyongyang.

L’intelligence di Seul sarebbe convinta che l’uomo sia stato avvelenato su richiesta diretta di Kim Jong-un, che avrebbe emesso un «ordine permanente» per ucciderlo. Questa ipotesi sarebbe sostenuta anche da due deputati sudcoreani, secondo cui nel dicembre 2011 l’uomo scrisse al fratello per chiedergli di risparmiargli la vita. «Non abbiamo un posto dove andare, un posto in cui nasconderci. Siamo consapevoli che l’unico modo per scappare è il suicidio», avrebbe affermato nella sua lettera.