Qalandiya è un labirinto di stradine e passaggi stretti tra case costruite una sopra l’altra, come in tutti i campi profughi palestinesi. All’esterno corre lo stradone che dal posto di blocco israeliano porta fino a Ramallah. Negli ultimi due anni sono spuntati come i funghi i negozi lungo questa strada terribilmente trafficata, illuminati da neon colorati che danno a questa zona di povertà e degrado una parvenza di normalità. C’è chi vende smartphone accanto al gommista capace di ripararti il pneumatico più malandato. Ma Qalandiya non sarà mai “normale”, fino a quando ci sarà l’occupazione israeliana. Ieri migliaia di persone hanno partecipato ai funerali di Younes Abu Sheikh Jahjouh, 23 anni, Robin Zayed, 34, e Jihad Aslan, 27. Tre giovani palestinesi uccisi dai colpi sparati da soldati israeliani sulla folla che protestava contro il raid di un’unità speciale entrata nel campo per arrestare Yusef al Khatib, scarcerato un mese fa.

Di sangue sono bagnate da sempre le pietre di Qalandiya:  la vicinanza al posto di blocco ha fatto di questo campo profughi un “naturale” terreno di scontro. Da tempo però non si registravano tre vittime, tre “martiri” in un giorno. Tutto è avvenuto all’alba. «Stavo dormendo quando ho sentito delle urla – racconta Ahmad – come tanti altri sono andato in strada. Mi hanno detto che gli israeliani erano entrati nel campo per arrestare qualcuno. I ragazzi hanno cominciato a lanciare sassi. Poi sono arrivate le guardie di frontiera (israeliane), prima hanno lanciato i lacrimogeni, poi hanno sparato decine di colpi». Tre giovani sono stati colpiti. I medici non hanno potuto far nulla per salvarli. Almeno altri 20 palestinesi sono stati feriti, alcuni sono i gravi condizioni. Per il portavoce della polizia, i militari si sono «difesi» da una folla di 1.500 palestinesi.

E’ stato un colpo duro per le famiglie degli uccisi e per l’intera Qalandiya. La disperazione generata da quella morte assurda, giunta all’improvviso, ha rischiato di uccidere la madre di Robin Zayed, distrutta dal dolore e svenuta più volte durante i funerali. Sui volti dei ragazzi rabbia e frustrazione. E come ai tempi dell’Intifada sono riapparsi giovani armati e con il volto coperto. La tensione è salita in tutta la Cisgiordania dove nelle ultime settimane l’esercito israeliano ha intensificato le incursioni nei centri palestinesi. Qualche giorno fa era finita come a Qalandiya in un altro campo profughi, quello di Jenin. A pagare con la vita era stato un ragazzo di 20 anni, Majd Lahlouh.  Dall’inizio del 2013 i militari israeliani hanno ucciso in Cisgiordania 14 palestinesi, contro i tre dello stesso periodo dello scorso anno.

“Operazioni preventive anti-terrorismo”. E’ la spiegazione delle autorità di occupazione. E’ forte il sospetto che questi raid siano finalizzati a inviare segnali “rassicuranti” alla parte più estrema del governo di destra guidato da Benyamni Netanyahu, che non ha digerito la ripresa delle trattative con l’Anp di Abu Mazen e la recente liberazione di due dozzine di prigionieri palestinesi in carcere da più di 20 anni. «Non è cambiato nulla», sembrano volere segnalare queste incursioni. A quanto pare non basta ai ministri più radicali l’espansione incessante delle colonie  israeliane in Cisgiordania e nella Gerusalemme araba (Est). E’ di poche ore fa la notizia del progetto per la costruzione di altri 1.500 appartamenti a Ramat Shlomo, che segue quella recente di altri 2.100 case per coloni a Gerusalemme Est.

L’Anp, dopo l’uccisione dei tre giovani, ha annullato l’incontro con i negoziatori israeliani previsto ieri sera a Gerico. Reazione che non basta a chi, come buona parte degli abitanti di Qalandiya, ha conosciuto sin dalla nascita solo l’occupazione militare.