E la piazza esplode di nuovo. Se all’annuncio dell’ultimatum dei militari due giorni fa si era sentito un boato dappertutto. Ieri ponti, piazze, vicoli, moschee sono state circondate da una folla che festeggiava la fine della presidenza Morsi. Non si vedevano scene simili dall’11 febbraio 2011, giorno in cui Mubarak è stato costretto alle dimissioni.

Sulle sorti di Morsi si farà chiarezza nelle prossime ore. Sarebbe agli arresti domiciliari e gli è stato imposto il divieto di espatrio. Il palazzo dove opera il presidente, a Qasr El-Kobba al Cairo, è stato isolato e circondato con barriere e filo spinato. I militari avrebbero anche bloccato l’accesso alla zona della capitale dove era in corso un raduno dei sostenitori del presidente. Resta aperta l’incognita della reazione dei sostenitori degli islamisti a questo colpo di mano.

Ma uomini del suo entourage dicono di non avere notizie sul luogo dove si trova. Tutti i maggiori leader del partito Libertà e Giustizia sarebbero agli arresti. Insieme alla guida spirituale della Fratellanza Mohamed Badie e importanti leader della Fratellanza come Khairat El-Shater, Essam Sultan e Mohamded El-Beltagui. Secondo il braccio destro di Morsi, Gehad El-Haddad, poche ore prima i dirigenti del movimento avrebbero rifiutato un incontro con i leader dei partiti di opposizione. All’annuncio dell’arresto del presidente, erano in corso fitti colloqui con i leader delle opposizioni e le massime figure religiose organizzate dal ministro della Difesa.

Le autorità americane si sono mostrate caute sulle dinamiche del colpo militare e tendono a smorzare i toni e invitare al dialogo. «Pensiamo che tutte le parti debbano impegnarsi le une verso le altre e debbano ascoltare le voci del popolo egiziano che protesta pacificamente», ha detto la portavoce del dipartimento di stato Jen Psaki. Martedì, alla vigilia dell’annunciato golpe, il segretario alla Difesa americano, Chuck Hagel, aveva chiamato il ministro della Difesa e capo delle Forze armate egiziane Abdel Fattah El-Sisi.

I primi sentori che questo sarebbe stato l’epilogo della richiesta di dimissioni avanzate dalle opposizioni e avallata dai generali si erano avuti ieri pomeriggio, quando vari carri armati erano apparsi all’ingresso della televisione di Stato sulla Corniche e in piazza Tahrir. Centinaia di militari egiziani, scortati da alcuni veicoli blindati, sono stati schierati nei pressi del palazzo presidenziale e molti altri hanno preso posizione nelle piazze della città.

A questo punto, incaricati di disegnare i tempi di una roadmap per uscire dalla nuova crisi sarebbero il gran imam di al Azhar, Ahmed El-Tayeb, il papa copto, Tawadros II, e il portavoce delle opposizioni Mohamed El-Baradei, in presenza di giovani del movimento Tamarrod (Ribelli). Secondo indiscrezioni dovrebbero essere ribaltate le logiche della precedente fase di transizione in cui le elezioni parlamentari e presidenziali si erano tenute in assenza di una Costituzione. La roadmap concordata dalle forze laiche con i militari, dalle opposizioni e dai leader religiosi prevederebbe un periodo di transizione, la sospensione della Costituzione vigente, poteri presidenziali al presidente della Corte costituzionale e formazione di un governo tecnico.

A questo punto è spianata la strada per Mohammed El-Baradei che dopo numerosi tentativi falliti potrebbe trovare il giusto sostegno per guidare la nuova fase di transizione.

Resta l’amaro in bocca per un movimento con un’ampia base elettorale tra le classi più disagiate che è stato costretto con la forza a lasciare il potere. Si tratta di leader politici che hanno passato anni in prigione e non hanno avuto abbastanza tempo per riformare il movimento e il paese o non lo avrebbero mai fatto perché provenienti da una generazione abituata al clientelismo e alla corruzione. Fatto sta che a questo punto i militari, e Washington, hanno un’ultima occasione per evitare di deviare le richieste rivoluzionarie. Nonostante ciò, con libere elezioni e l’esclusione delle frange salafite radicali, i Fratelli musulmani potrebbero vincere di nuovo e con maggiore esperienza politica.