Incostante e bizzoso, l’exfrontman carismatico degli Smiths — celebre la sua risposta a chi gli proponeva di riformare la band: «Mi mangerei i testicoli piuttosto» – ci ha abituati a raccontare tutto e il contrario di tutto. Steven Patrick Morrissey – che quest’anno spegne le fatidiche sessanta candeline – dopo la fuoriuscita da quella che fu la band inglese per eccellenza degli anni ottanta, ha intrapreso un caotico percorso musicale alternando capolavori – Viva Hate, 1988 e soprattutto Vauxhall & I, 1994, modeste produzioni – Southpaw Grammar, 1995 dalle improbabili connotazioni prog rock – e clamorosi ritorni come You are the Quarry (2004) dove ha regalato ai fan perle come Irish Blood English Heart, scoprendosi convincente e affascinante crooner.

NON È QUINDI un caso che il suo nuovo progetto discografico dodici mesi dopo il suo ultimo lavoro con inediti – in uscita il 24 maggio per Bmg/Warner – sia una raccolta di dodici cover, tutti brani scelti da lui stesso fra gli anni sessanta e settanta, dove metter ancor più in evidenza le sue qualità di interprete puro. Ora si sente «un figlio della California» – come recita il titolo del disco California Son prodotto da Joe Chiccarelli (Shins, Counting Crows), e si dimostra grande conoscitore di quegli anni evitando il pezzo «ad effetto» ma dedicandosi piuttosto a una seria operazione di ricerca nel canzoniere dei protagonisti dell’età d’oro del pop rock.

COSÌ i muscoli vocali di Morrissey si flettono al pop, al glam e al folk, recuperando i canti di protesta di Phil Ochs – Days of Decision – e di Bob Dylan – di cui rilegge Only A Pawn in Their Game, pezzo del 1964 ispirato all’assassinio dell’attivista Medgar Evers che aveva mostrato il supporto per il movimento per i diritti civili degli afroamericani. C’è spazio anche per un tributo a Roy Orbison con It’s over – evergreen scritto nel 1964 dove la voce baritonale di Morrissey recupera in alcuni frangenti il falsetto calandosi in un’ambientazione rigorosamente sixties. Ospite del brano è LP – la cantante americana (celebre anche in Italia per il successo tre anni fa di Lost On You) che così ha raccontato l’incontro con l’artista inglese: «Ho sempre apprezzato Morrissey e la sua musica. Tuttavia, mi sono presto resa conto, quando sono uscita con lui e mi ha suonato tutte le canzoni che stava mettendo in questo disco, che dietro questo lavoro c’era il cuore di uno studioso di musica e di un fan dei suoi eroi musicali. È esperto di così tanti generi e conosce profondi tagli di artisti dei quali pensavo di conoscere così tanto. È stimolante vedere l’entusiasmo e l’intelletto che porta alle persone attraverso il suo viaggio musicale».

E QUELLA con LP non è l’unica collaborazione del disco, diverse sono le voci presenti: troviamo il frontman dei Green Day, Billie John Armstrong nella ripresa di Wedding Bell Blues di Laura Nyro. Ma il lato più intimo l’ex Smiths lo rivela nella rilettura di Lenny’s tune, scritta originariamente nel 1967 per Nico. Pianoforte e voce, così il tributo all’attore e amico Lenny Bruce scritto da Tim, si trasfigura di nuova luce. Parola di Morrissey.