Per una parte, il nostro Paese ritiene che si possa per legge obbligare a vivere chi piuttosto vuole liberamente morire. Una pretesa incivile. In Camera dei deputati l’assalto del centrodestra contro il suicidio assistito si può considerare complessivamente arginato, con 253 a favore e 117 contrari nel voto finale. Ma la pressione messa in campo ha condotto a un testo che non merita lodi.

Potevamo aspettarcelo. Con ordinanza 207/2018 la Corte costituzionale rinviava di quasi un anno nel caso Cappato la trattazione della questione relativa all’articolo 580 codice penale, mettendo in mora il parlamento. Con la sentenza n. 242 del 2019 la Corte, preso atto dell’inerzia del legislatore, scriveva alcune condizioni per la non punibilità.

Condizioni anche molto – forse troppo – stringenti, come ha successivamente dimostrato il caso di Mario, paziente tetraplegico, e l’anno di battaglia legale sulla sua richiesta di suicidio assistito. Il punto focale si trova nel bilanciamento tra l’autodeterminazione garantita dall’art. 32 della Costituzione, e la necessità – fortemente sottolineata dalla Corte – di tutelare in specie i soggetti deboli e vulnerabili.

Ma questo approccio giustifica l’accertamento di una volontà liberamente e correttamente formatasi. Non giustifica invece condizioni a ciò estranee, né la sovrapposizione della valutazione di soggetti terzi sulla volontà di chi decide di porre fine alla propria vita. Qualche cedimento la Corte lo manifesta. Perché, ad esempio, si ritiene indispensabile vi sia un trattamento di sostegno vitale? Perché il comitato etico? Cosa avrebbe potuto fare il parlamento dopo la sentenza 242/2019?

La redazione consiglia:
Suicidio assistito, la Camera dice il primo sì. «Passo storico»Una domanda che appassionerà i costituzionalisti, ma che intanto riceve in parlamento una risposta: era già difficile, per qualche punto sarà un po’ più difficile. Per dirne una, le sofferenze «fisiche o psicologiche» poste come condizione nella sentenza 242 diventano «fisiche e psicologiche». E quando è che le sofferenze diventano «assolutamente» intollerabili? Dove si colloca l’asticella della tollerabilità, e chi lo decide? E meno male che si è sancita la possibilità di rifiutare cure palliative non volute. Mentre rimane la condizione necessaria di un sostegno vitale in atto.

Da questo punto di vista il legislatore sembra avere perso l’occasione di semplificare da un lato, e completare dall’altro, il quadro normativo disegnato dalla Corte costituzionale sul fine vita. Certamente avrebbe potuto farlo, pur in condizioni politiche sfavorevoli. Ma introdurre nel testo approvato per via emendativa l’omicidio del consenziente è stato impossibile, ed è improbabile che il tentativo possa in seguito avere successo.

Pesa sul fine vita la posizione della Corte costituzionale, che non si è limitata a un bilanciamento tra il principio di autodeterminazione e la tutela del bene vita. Si vede già nella sentenza 242/2019, e forse più chiaramente si coglie nella sentenza 50/2022 sulla inammissibilità del referendum sull’omicidio del consenziente. Contesti diversi, ma legati da un filo rosso, dato dalla individuazione di una tutela minima costituzionalmente necessaria del bene vita.

Esiste o no, per converso, una tutela minima costituzionalmente necessaria della libera volontà di porre fine alla propria vita? Oggi, non c’è sanzione né per il suicidio, né per il tentativo di suicidio fallito. Alla persona malata ma compos sui, per dire la parola fine, basta rifiutare un trattamento salvavita, come ad esempio una banale trasfusione di sangue. Ma domani se arrivasse alla Corte una questione sollevata contro la mancata sanzione del tentativo di suicidio fallito? O una legge volta a imporre l’obbligo della trasfusione di sangue laddove medicalmente richiesta? E se fosse approvata una legge riproduttiva della normativa di risulta del referendum non ammesso sull’omicidio del consenziente? E se la Camera avesse oggi previsto la cura palliativa come passaggio preliminare necessario per il suicidio assistito? In tali ipotesi, a quale esito giungerebbe la Corte partendo dal requisito della tutela minima costituzionalmente necessaria della vita? E di esempi potremmo farne molti.

Alla fine, vogliamo pensare che abbiamo il diritto di porre fine ai nostri giorni. Ma potremo agevolmente farlo, lietamente o disperati, purché soli e in grado di staccare autonomamente la spina. Diversamente, è probabile che moriremo comunque, ma sepolti dalla burocrazia e dalla ipocrisia dei benpensanti.