«A volte capita di dover passare di fianco a quel reparto e lì in fondo alla fossa, dove c’è il forno, vediamo ancora a terra i caschetti dei nostri colleghi. Tutto è rimasto come un anno fa». Quando ne parla, Riccardo Prandi è ancora emozionato, lo si sente dalla voce che trema un po’. Oggi Riccardo è responsabile dei lavoratori per la sicurezza alla Lamina dove un anno fa morirono quattro operai: Arrigo e Giancarlo Barbieri, Giuseppe Setzu e Marco Santamaria. «Hanno lasciato un vuoto incolmabile». C’era anche lui un anno fa quando il gas argon fuoriuscito da quel forno oggi isolato dal resto dell’azienda dai sigilli della magistratura uccise i colleghi. Il reparto dove è avvenuto l’incidente è ancora sotto sequestro, ma il lavoro alla Lamina è ripreso, le commesse sono abbondanti, sono 33 i lavoratori di questa storica azienda che produce nastri in acciaio e titanio.

IL 12 FEBBRAIO ci sarà l’udienza preliminare per decidere se rinviare a giudizio il titolare Roberto Sammarchi, 78 anni, accusato di omicidio colposo plurimo con l’aggravante di aver commesso il fatto in violazione della normativa in materia di sicurezza sul lavoro. Nei mesi scorsi Sammarchi ha risarcito economicamente le famiglie dei quattro operai morti, cosa che potrebbe alleggerire la sua posizione processuale in caso di patteggiamento. Le indagini condotte dai pm Maria Letizia Mocciaro e Gaetano Ruta, coordinati dal procuratore aggiunto Tiziana Siciliano, hanno evidenziato lacune nei sistemi di sicurezza e nella formazione dei lavoratori. La Lamina avrebbe risparmiato sulla sicurezza «procurandosi un vantaggio patrimoniale rappresentato dal risparmio di spesa» hanno scritto i pm nella richiesta di rinvio a giudizio. Ci sarebbe stata «negligenza, imprudenza, imperizia e inosservanza delle norme sulla prevenzione degli infortuni nei luoghi di lavoro».

SECONDO LE PERIZIE fatte dalla Procura di Milano il forno era difettoso, non funzionavano regolarmente né la centralina né il condotto di erogazione del gas argon, il gas inodore che ha ucciso i quattro lavoratori. Carente sarebbe stata anche la formazione dei lavoratori sui rischi legati all’utilizzo di quel gas. La sequenza di eventi che ha portato alla morte dei quattro operai racconta di una inconsapevolezza e sottovalutazione dei rischi. Tutti si sono esposti per aiutare i colleghi senza prendere alcuna precauzione.

QUEL POMERIGGIO poco dopo le 16 il primo a scendere nella fossa dove si trova il forno è l’elettricista Marco Santamaria, chiamato per intervenire sull’impianto. Il gas argon, un gas pesante e inodore, aveva già saturato l’aria in fondo alla fossa per cause ancora da chiarire. Appena scesa le scaletta Santamaria sviene, Arrigo Barbieri e Giuseppe Setzu scendono per soccorrerlo e perdono i sensi anche loro. Quando il fratello di Arrigo, Giancarlo Barbieri, vede i tre corpi a terra scende le scalette anche lui per soccorrerli e sviene. Morirà alcune ore dopo all’ospedale. Nessuno aveva mascherine o autorespiratori, «non sapevamo di doverli usare quando avevamo a che fare con quel forno» dice Riccardo. «Avevamo poche informazioni sulla sicurezza nella zona forni e chi le aveva tra noi oggi non c’è più. Andavano attuate misure di sicurezza più impegnative per tutti, avremmo dovuto fare più formazione e noi per primi segnalare quello che ci sembrava a rischio. Cosa che adesso sta accadendo».

 

In piazza a Milano dopo la strage, foto LaPresse

 

IL TEMA DELLA FORMAZIONE dei lavoratori sulla sicurezza è nazionale. Per la segretaria milanese della Fiom, Roberta Turi, «governo e Confindustria hanno fatto passi indietro». I dati dell’Inail sulle morti sul lavoro dicono che nel 2018 c’è stato un aumento degli incidenti mortali di quasi il 9.9%: oltre mille lavoratori che hanno perso la vita. «A fronte di questo il Governo ha tagliato quanto le aziende pagano all’Inail e conseguentemente vengono stanziati meno fondi e meno investimenti dove occorreva farne di più», dice ancora Turi. «Non ci sono stati investimenti sugli ispettori del lavoro e non è arrivato alcun provvedimento a favore della sicurezza, altro che governo del cambiamento».

A livello milanese le istituzioni hanno reagito diversamente. In Prefettura è operativo un tavolo sulla sicurezza nei luoghi di lavoro con sindacati, amministrazione ed enti interessati. «Dalla settimana prossima avvieremo un progetto di formazione nelle aziende, una formazione diversa rispetto a quella fatta fino ad ora», dice Addo Buriani della Camera del Lavoro meneghina. «Credo potremo raccogliere risultati seri e concreti. Milano si sta muovendo in modo propositivo e in controtendenza rispetto al contesto nazionale».

UN ANNO FA PERÒ la città reagì in modo freddo a quei morti, sorpresa di avere ancora fabbriche all’interno de suoi confini. Il giorno dopo l’incidente in pochi passarono fuori dai cancelli dell’azienda e in pochi parteciparono al corteo convocato dai sindacati, mostrando una città senza quella solidarietà sociale, di classe, che un tempo avrebbe prodotto un altro tipo di partecipazione.