C’è chi in Ecuador già scommette sul fatto che Lenín Moreno andrà presto a far compagnia ad Abdalá Bucaram, Jamil Mahuad e Lucio Gutiérrez, nella lista dei presidenti costretti ad andarsene prima della fine del loro mandato.

Travolto dallo scandalo Ina Papers (sull’utilizzo di conti bancari offshore da parte sua e della sua famiglia per l’acquisto di svariati beni di lusso), sommerso dalle critiche per aver consegnato Julian Assange alle autorità britanniche, screditato dall’incontenibile deriva a destra della sua amministrazione – lui che era stato eletto, al contrario, per rilanciare quella Revolución Ciudadana progressivamente abbandonata da Rafael Correa – il presidente Moreno non sembra reagire in altro modo che liquidando per via giudiziaria gli oppositori correisti (oltre che giocando la solita carta anti-chavista, come ogni governo di destra che si rispetti).

L’ultimo a essere colpito è stato l’ex ministro degli Esteri, e fedelissimo di Correa, Ricardo Patiño, raggiunto da un ordine di arresto – a cui è sfuggito riparando a quanto sembra in Perù – per istigazione a delinquere: avrebbe, cioè, sollecitato le forze di sicurezza a sovvertire l’ordine pubblico, oltre a cercare di destabilizzare il governo attraverso hacker russi e svedesi.

Un’accusa, quest’ultima, accompagnata dall’arresto a Quito, l’11 aprile scorso, dell’attivista digitale svedese vicino a Wikileaks Ola Bini, un punto di riferimento nella difesa del software libero.

Prima di Patiño era stata la volta dello stesso ex presidente Correa, accusato di aver orchestrato il sequestro (subito sventato dalla polizia colombiana) dell’ex deputato dell’opposizione Fernando Balda, rapito nel 2012 a Bogotá, dove era fuggito in seguito all’accusa di attentare alla sicurezza interna dello Stato.

E prima ancora era stato il turno di Jorge Glass, vice di Correa tra il 2013 e il 2017 e riconfermato alla vicepresidenza, in coppia con Moreno, alle ultime presidenziali.

Dopo soli tre mesi dalla sua rielezione, Glas era stato coinvolto nello scandalo di corruzione legato alla multinazionale brasiliana Odebrecht, che, secondo le accuse, avrebbe sborsato una trentina di milioni di dollari per assicurarsi l’attribuzione di contratti pubblici, di cui circa 14 milioni sarebbero finiti nelle tasche di Glas.

Il giorno prima della sua incriminazione, Glas aveva reso nota una lettera di denuncia contro Moreno, accusandolo di allinearsi al settore imprenditoriale e alle banche. Di lì a poco, era stato raggiunto da un ordine di arresto preventivo e, a dicembre 2017, condannato a sei anni di prigione.