Una nuova stagione per l’Inter. E un pezzo di cuore nerazzurro ceduto per 250 milioni di euro. Massimo Moratti non è più il proprietario del club milanese. Il 70% del pacchetto azionario finisce al magnate indonesiano (editoria ed entertainment) Erick Thohir. Per molti finora solo il sosia del rapper sudcoreano Psy (quello del tormentone 2012 Gangnam Style).

Sei mesi di trattative. Tra passi in avanti, retromarce, smentite. Sino all’accordo finale – ma non sarà sancito nell’assemblea dei soci del 28 ottobre, serve più tempo per il closing della trattativa – che permette al petroliere di fermare il ridimensionamento della società che marciava al ritmo di 70 milioni di perdite annue. Con un club italiano che diventa proprietà di un riccone asiatico. Prima assoluta. Anzi, di più asiatici, perché Thohir dovrebbe essere affiancato da un paio d’imprenditori orientali. E in futuro potrebbe verificarsi anche l’ingresso anche di un’altra famiglia di magnati, i Bakrie, vicina ai Thohir e impegnata con un suo rampollo nella campagna elettorale per le presidenziali indonesiane dell’anno prossimo.

È solo un altro pezzetto nel puzzle del calcio italiano che vede cambiare le sue carte geografiche. In ritardo rispetto al resto d’Europa, alle ricche Manchester United, Manchester City, Liverpool, Paris Saint Germain. Aprista in Italia è stata la Roma, due anni fa, con l’arrivo dello statunitense degli hedge fund James Pallotta.
Va ricordato che Thohir finora nello sport non ha mai fatto centro. Una piccola fetta dei Philadelphia 76ers, franchigia Nba che non vince da anni e la copresidenza del Dc United nella Major League Soccer. Assegni firmati, niente successi. Ma gode della fiducia totale di Moratti, che dovrebbe conservare tre poltrone nel nuovo consiglio d’amministrazione (e il ruolo da presidente, se vuole). Il numero uno della Saras non riusciva più a contrastare lo strapotere delle big d’Europa che portano a casa campioni a cifre fuori mercato. Tra bilanci in rosso e mancanza di liquidità. E il marchio dell’Inter poco valorizzato in Asia, dove il pallone viaggia da un po’, fiutando l’odore dei soldi. Niente più stelle a suon di milioni ma spending review: tagli agli ingaggi, investimenti su giovani. Pochi risultati. Quindi, la decisione della famiglia Moratti di cedere la maggioranza delle azioni del club. Anche per non rovinare 18 anni d’intensa storia d’amore. Sedici trofei, tra cui cinque scudetti e una Champions League, un miliardo di euro investiti nelle campagne acquisti. La creatura di Massimo Moratti erede della grande Inter di papà Angelo. L’obiettivo di una sceneggiatura con un avvio complesso, un paio di punti bui e l’happy end. Cioè la Champions League vinta a Madrid tre anni fa, contro il Bayern Monaco. Doppietta di Diego Milito, Moratti in lacrime che abbracciava Josè Mourinho e Javier Zanetti. E il laterale argentino è la polaroid meglio riuscita dell’era morattiana. Brand nerazzurro per eccellenza in una società che ha ingaggiato almeno una dozzina di fuoriclasse, soprattutto attaccanti e tre Palloni d’Oro (Ronaldo, Roberto Baggio, Fabio Cannavaro). Con il Fenomeno vera passione morattiana (assieme all’inglese Paul Ince), da lui tradita per il Real Madrid. E altri grandi innamoramenti: giustificati (Christian Vieri, Luis Figo) non ricambiati (su tutti l’uruguaiano Alvaro Recoba, talento a lune alterne). Il suo ultimo desiderio calcistico era Leo Messi. Tra i momenti negativi, il secondo posto nel campionato 1997/1998 dietro alla Juventus di Marcello Lippi e della Triade, amaro per il rigore non concesso dall’arbitro Ceccarini (fallo di Mark Iuliano su Ronaldo) nello scontro diretto a Torino. E poi il 5 maggio 2002: lo scudetto ormai in mano interista che svaniva per la folle sconfitta nell’ultima di campionato contro la Lazio. Ronaldo in lacrime, titolo alla Juve. Tre anni dopo, ecco Calciopoli: scudetto scucito alla Juventus (che finiva in B) e che finiva sul petto dei nerazzurri. Il primo di una lunga serie di successi.