La campagna sulla moratoria giubilare degli sfratti e degli sgomberi a Roma ieri ha portato la rete per il diritto alla città e la campagna Roma non si vende ad occupare per una mattinata il Dipartimento del Patrimonio. Nel primo pomeriggio i movimenti per il diritto all’abitare hanno organizzato un sit-in alla regione Lazio in via Cristoforo Colombo per chiedere alla giunta Zingaretti di sbloccare la delibera sull’emergenza abitativa per la quale sono a disposizione 200 milioni di euro. Anche loro hanno chiesto un’analoga «moratoria». L’assessore alle politiche abitative Fabio Refrigeri ha dichiarato l’impegno della giunta ad approvarla entro il mese di febbraio.


Non solo Affittopoli

Nel frattempo a Piazza Giovanni da Verrazzano, sede dell’assessorato al patrimonio, andava in scena un’assemblea singolare alla quale ha partecipato il sub-commissario al Patrimonio Bruno Spadoni per due ore. Gli attivisti, a partire da quelli che hanno ricevuto le lettere di sgombero dal commissario Tronca, hanno ribadito la richiesta di affrontare il problema della gestione del patrimonio pubblico con istituzioni regolarmente elette «e non con un governo commissariale privo di qualunque legittimazione democratica». Il Corto Circuito, Auro E Marco, La Torre, Esc e le altre associazioni hanno chiesto di fermare la macchina amministrativa che dovrebbe rimettere a bando 800 spazi – compresa la storica sede del Pd in via dei Giubbonari – come previsto dalla delibera 140 approvata dall’ex giunta di centro-sinistra Marino.

Gli spazi sociali chiedono di ridiscutere le norme che rischiano di portare alla «privatizzazione» del patrimonio pubblico come determinato dal documento unico di programmazione (Dup) 2016–2018: realizzare un incasso da 15 milioni di euro all’anno per i prossimi tre anni da queste operazioni. Spadoni ha confermato l’intenzione dell’amministrazione di proseguire il percorso intrapreso dalla gestione commissariale presentando due motivazioni: l’indagine della magistratura romana sul patrimonio – di cui «Affittopoli» è solo un segmento, già iniziato sotto la giunta Marino – e un’istruttoria della Corte dei Conti. Si è comunque detto disponibile ad aprire un tavolo entro 15 giorni per discutere dei criteri di gestione nella transizione che porterà la Capitale al voto, forse, a giugno.


Prossima agenda

La situazione è difficile, commentano gli attivisti che confermano la loro determinazione a resistere contro eventuali sgomberi. La campagna sulla moratoria proseguirà negli incontri territoriali del 20 febbraio quando inizierà la scrittura collettiva di una «carta di Roma» sull’esempio del regolamento sugli usi civici approvato dalla giunta De Magistris per l’Asilo Filangieri a Napoli. Il 19 marzo è previsto un corteo cittadino al quale, per la prima volta da tempo, parteciperanno tutte le realtà dei movimenti della Capitale.


Roma tre volte commissariata

L’incontro è stato l’occasione per comprendere la dialettica politica che governa la capitale, al di là della consueta e surreale girandola di nomi per elezioni al Campidoglio che intrattiene salotti e giornali da settimane. Spadoni, che ha anche la delega alle partecipate di Roma Capitale, ha descritto lo spirito della politica commissariata. I politici di professione hanno lasciato solo guai a Roma. Oggi la politica è l’applicazione di automatismi che non si possono fermare.Sul loro destino vegliano dall’esterno autorità trascendentali rispetto ai comuni mortali: la magistratura ordinaria e quella contabile. Le leggi generali rispondono alle direttive europee che sono inflessibili.

Della politica non resta nulla: tutto è amministrazione. La legge è l’espressione di una volontà assoluta, impersonale e, soprattutto, intangibile. Questo significa che chiunque sia eletto, a Roma e altrove, dovrà applicare questi dettami. Destra e sinistra non esistono più, come dice un noto proverbio contemporaneo. Esiste lo stato di emergenza governato da questa legge. Roma è commissariata tre volte: dall’Europa, dai prefetti (quindi dal governo), dalle magistrature.


Legittimità delle pratiche sociali

Spadoni ha riconosciuto la specificità dell’auto-organizzazione e del “sociale”, ma questa concessione vale poco davanti alla legge e al suo attuale operatore discorsivo: la legalità. Tutti devono essere trattati allo stesso modo.

In realtà, la “legalità” è un concetto che ha una storia. Nel caso romano, si assiste a un paradosso. L’amministrazione capitolina, grazie alla delibera 26 adottata ai tempi della prima giunta Rutelli (quando l’attuale candidato sindaco Pd Giachetti ricopriva il ruolo di capo segreteria del sindaco), ha riconosciuto il valore sociale degli spazi sociali e dell’associazionismo diffuso. Da quando, con il “Salva Roma, le leggi europee e il governo hanno imposto la vendita del patrimonio pubblico della città,è stata adottata un’altra delibera – la 140 della Giunta Marino – che ha cambiato i criteri precedenti e istituito una nuova legalità: gli spazi sociali ora sono un costo di mercato e in più vengono accusati di essere morosi. Se tutto va bene, gli attivisti dovranno uscire da questi spazi e rientrare, pagando a prezzi di mercato i luoghi che hanno fatto vivere con altre logiche, per anni.

Questo uso arbitrario del concetto di “legalità” viene considerato come l’unico possibile. A questo si oppongono gli attivisti: la convivenza non può essere ridotta alla “legittimità degli atti amministrativi”, ma alla “legittimità delle pratiche sociali”. Due principi evidentemente inconciliabili. Il loro conflitto spiega la ragione dell’esistenza di questi movimenti e, tra l’altro, un principio alternativo all’austerità applicata nella democrazia commissariata italiana.

Interrompere la macchina

L’annuncio della privatizzazione degli asili nido comunali, poi quella degli spazi sociali, infine il congelamento delle attività delle cooperative e del terzo settore a seguito dell’inchiesta di Mafia Capitale. Questo ingorgo, creato nell’ultimo anno della giunta Marino, ora blocca la Capitale e sta mobilitando il mondo delle sinistre e dell’auto-organizzazione a Roma. Le lettere di sgombero sono state prese come un segnale di “minaccia”, giunto dal Campidoglio commissariato da Tronca.

Segnali in controtendenza rispetto a quelli inviati dal prefetto di Roma Franco Gabrielli che, anche su Il manifesto, ha inviato messaggi distensivi verso le aree sociali (qui la risposta dei movimenti del diritto all’abitare). Non conviene a nessuno aggiungere al clima di una città esasperata ed esausta le tensioni da ordine pubblico. Su questa ipotesi, in video e dichiarazioni pubbliche, i movimenti romani sono stati chiari e non si sottrarranno. Per loro le lettere di sgombero sono una “provocazione”.

L’approccio dei movimenti è negoziale. “Se il commissario Tronca vuole – ragionano gli attivisti – ha il potere di non dare esecutività alle lettere di sgombero. Questo meccanismo che ha azionato non è ineluttabile Caso per caso può decidere di interromperlo perché controlla il nucleo dei vigili urbani”.

Un altro elemento rivela una complicazione della dialettica politica in corso. Il secondo, il quinto e il settimo municipio – che mantengono gli organi politici regolarmente eletti – si sono schierati contro le ventilate ipotesi di sgombero. La legittimità politica derivante dal voto democratico in questo caso viene usata contro un’applicazione letterale e irreversibile del comando da parte del governo commissario della città.

Il dibattito sulla moratoria


Moratoria giubilare per gli spazi sociali a Roma (Roberto Ciccarelli)


La risposta dell’ex vice-sindaco di Roma Luigi Nieri: Quegli sgomberi a Roma


L’intervento della Rete del diritto alla città: Nieri per caso