Pax Christi ha sollevato la questione ‘portaerei Cavour’ fin dal taglio della prima lamiera (con relativa benedizione), nel lontano luglio 2001. Fu l’allora Presidente nazionale, il vescovo Diego Bona, a intervenire con queste parole: «Ne avevamo proprio bisogno? Certamente i tecnici della lobby industrial-militare adducono tante ragioni per giustificare l’opportunità, se non la necessità, di dotare le nostre Forze Armate di un simile aggeggio… (nave Cavour ndr) Quella che verrà costruita, infatti, resta un’arma da guerra (e di quella fatta alla grande, da superpotenza), uno strumento di morte…».

Passano gli anni e di nuovo, il 20 gennaio 2010, come Pax Christi interveniamo denunciando che davanti alla tragedia del terremoto ad Haiti, l’Italia gioca la carta della portaerei Cavour: «Haiti non ha bisogno di portaerei ma di riconversione delle spese militari e di reale cooperazione. Questa grande portaerei lunga 235 metri è costata oltre 1200 milioni di euro pari alla somma raccolta nel mondo dopo la prima settimana dal terremoto di Haiti. Ci chiediamo: quante sale operatorie od ospedali da campo si potevano e si possono realizzare con una spesa così folle?».

Sono passati altri 10 anni e di nuova siamo qui davanti al Cavour (sì, al maschile, così si usa per le navi militari) che è di nuovo in partenza. Questa volta però si toglie la maschera. Mentre tutti siamo obbligati a usare la mascherina, il Cavour se la toglie orgogliosamente, mostrando il suo vero volto: una portaerei in partenza per gli Usa per ospitare i famigerati e tanto discussi aerei F35.

Ora le cose sono, tragicamente più chiare.

E si capisce, forse, perché l’attuale direttore de la Repubblica Maurizio Molinari, quando era ancora a La Stampa scrisse un editoriale il 10 novembre 2019: «Da Cameri a Candiolo. Sulle Strade dell’Italia che innova». Gli scrissi una lettera ma non ho mai risposto. Dicevo: «Le confesso che sono rimasto senza parole… Mi stupisco che un autorevole Direttore come lei non abbia colto la differenza sostanziale dei due centri. A Candiolo la ricerca oncologica è a servizio della vita. A Cameri, la tecnologia degli F-35 è a servizio della morte. E di questo posso solo vergognarmi!». Per questi caccia F35 c’è un investimento di almeno 14 miliardi,

Il costo di ognuno supera abbondantemente i 100 milioni di €. Quasi 150 milioni l’uno con gli aggiornamenti necessari di armamenti e tecnologia. Siamo in tempo di pandemia, abbiamo visto morire, solo in Italia, più di 30.000 persone a causa del Covid-19. Quanti posti letto ci sarebbero anche con un solo F35? Quanti respiratori? E anche quante mascherine? In Italia c’è una sola ditta che produce respiratori polmonari, mentre sono ben 231 le fabbriche d’armi!

Da qui si capiscono le priorità di un paese. Da chi ci dobbiamo difendere? In questi ultimi anno sono stati tagliati circa 37 miliardi alla sanità, ma le spese militari sono in aumento. «L’Italia spende per la Difesa circa 68-70 milioni al giorno – ha dichiarato lo scorso mese di marzo l’attuale Presidente di Pax Christi, il Vescovo Giovanni Ricchiuti – ma stando alle richieste degli Usa e della Nato noi dovremmo spendere ancora di più, per arrivare forse a 100 milioni al giorno?».

No. Non è questo il mondo che vogliamo. E non possiamo tacere! Bene ha fatto il manifesto ad intervenire in passato e anche ripetutamente in questi giorni. I grandi interessi imbavagliano e mettono a tacere molti mass media. Dobbiamo far sì che quella macchina da guerra che è la nave Cavour non parta. Perché si blocchi la produzione degli F35. Perché ci sia almeno una moratoria di un anno sulle spese militari, come chiediamo insieme con Rete Disarmo, Sbilanciamoci e come chiede anche una Mozione del M5S presentata in Parlamento che va sostenuta, perché è uno spiraglio che lascia entrare una luce nuova, di speranza, di vita, di pace.

Lo dobbiamo fare insieme, come abbiamo denunciato anche con il Movimento dei Focolari Italia, Banca Etica, Scuola di Economia civile, Commissione della pastorale sociale del Piemonte.

Non cada nel vuota la denuncia chiara e forte di papa Francesco, lo scorso 23 febbraio a Bari: «Tanti Paesi parlano di pace e poi vendono le armi ai Paesi che sono in guerra. Questo si chiama la grande ipocrisia». E quanto ha detto la notte di Pasqua: «Di pane e non di fucili abbiamo bisogno».

* Coordinatore Nazionale di Pax Christi